
Dopo aver letto La ricreazione è finita riesce spontaneo rileggere Mistero al cubo. Se il primo ha finalmente riaperto un po’ di dibattito sui campus novel, non c’è dubbio che il secondo rappresenta una delle tante, possibili e riuscite sperimentazioni del genere. Che va visto in tutte le sue potenzialità, dai classici di David Lodge al pionieristico Quando studiavamo in America di Beppi Chiuppani. Fino al lascito alluvionale (e in verità inclassificabile) de La tredicesima cattedra di Franco Cordero. Mistero al cubo è un tassello importante di questa esperienza. È del 2019, è un giallo e – salvo un interessante punto di contatto sugli anni di piombo – è completamente diverso dal romanzo di Dario Ferrari. Non solo perché il suo Autore – che si cela dietro uno pseudonimo – è un collettivo di tre scrittori; o perché si tratta di una storia costituita direttamente dalla successione delle singole voci dei suoi personaggi. Mistero al cubo è diverso perché l’università e il suo essere forte immagine della società di riferimento sono più nettamente al centro della narrazione. Tutto ruota attorno al decesso del Prof. De Vitis, un ordinario di diritto penale comparato dell’Università della Calabria, trovato morto, integralmente nudo, nel suo ufficio all’interno di uno dei “cubi” del campus di Arcavacata. La scoperta la fa Edoardo Sansinato, il collaboratore più giovane, prototipo del tipico precario accademico e prima voce a farsi sentire nel racconto. Poi, a seguire, parlano anche gli altri: Umberto Gironda, il commissario incaricato delle indagini, colpito da qualche turbamento personale e familiare; Giusy Varrà, la laureata spigliata e disinibita, e un po’ senza scrupoli, che ambisce al dottorato e ha più di una doppia vita; Gianfranco Ferretti, il tesista anarchico e fuori corso, sospetto perfetto per la mentalità più stereotipata; Giulio Badiani, l’allievo anziano, tanto formato e rispettato, quanto frustrato dalla lunga attesa dell’ordinariato; Angela Musso, il p.m. che segue la vicenda, anch’essa (per così dire) un po’ turbata è un po’ alla ricerca; lo stesso Lorenzo De Vitis, il docente deceduto, che passo dopo passo rivela qualcosa di sé; e infine Nadia Gironda, figlia del commissario e amica di Giusy.
La storia – che si dipana a cavallo delle festività natalizie del 2018 – non può essere integralmente svelata, si rischia lo spoiler. Ma è sufficiente dire che nell’avvicendarsi delle versioni dei singoli si avvertono distintamente molteplici ingredienti: la specifica caratterizzazione, assai realistica, di alcune figure accademiche; il legame, ben tracciato, tra una certa idea (tramontata) di università e il sogno di riscatto (anch’esso frustrato) di un intero territorio (come testimoniato dall’esplicita ispirazione al magnetico libro di Renato Nisticò: lettura obbligata e opera di un vero poeta); un sentimento – reso altrettanto efficacemente – di diffuso, trasversale e intergenerazionale, sfarinamento, nelle convinzioni individuali come nei legami intersoggettivi e nei ruoli istituzionali; l’espediente, riuscito, di collocare la soluzione del caso in una sorta di beffa ultimativa del sistema, a suggello ironico, ma amaro, di un’orizzonte ormai definitivamente ripiegato su se stesso e dunque improduttivo. Mistero al cubo si lascia apprezzare anche per un altro profilo. È l’ennesima prova di una grande tradizione letteraria, quella calabrese, che in anni recenti, da Carmine Abate a Domenico Dara, da Ettore Castagna a Gioacchino Criaco e (al meno conosciuto, ma talentuoso) Salvatore Conaci (per citarne soltanto alcuni…) sta conferendo al patrimonio nazionale ottime prove di scrittura e vitalità, emotiva e socio-culturale. In proposito devo ringraziare i colleghi e amici nativi, che da tempo mi sollecitano a scoprire l’energia di un intero giacimento territoriale. Quando posso, dunque, do piena fiducia cartacea a questo invito. Prima o poi, però, dovrò seguire le orme di Giuseppe Berto, che da veneto ha saputo trovare nella natura della Calabria un inaspettato e prolifico centro di gravità. Giuridicamente, del resto, lo è già, e finalmente, dopo qualche anno di pausa, la felice consuetudine del convegno di Copanello torna a farsi viva.