Sergio Campailla è da anni il curatore, per Adelphi, dell’opera omnia di Carlo Michelstaedter (1887-1910), una delle figure più tragiche della filosofia italiana del Novecento. Il giovane pensatore goriziano, infatti, è morto suicida all’indomani della conclusione della sua tesi di laurea, La persuasione e la rettorica, che ne rappresenta il più noto e tormentato lascito intellettuale. Ne Il segreto di Nadia B. – che reca come sottotitolo la precisazione “La musa di Michelstaedter tra scandalo e tragedia” – il bravo e attento studioso dell’Università di Roma Tre torna, con piglio di vero scrittore, su alcuni dettagli della biografia del Suo Autore per ricavarne un’inchiesta avvincente, che si dipana tassello dopo tassello e che lui stesso concepisce “come un romanzo russo”.
La missione di Campailla è molto chiara: ricostruire la fine altrettanto drammatica e la vita avventurosa di Nadia Baraden, fiamma indimenticabile ed indimenticata di Michelstaedter, mai ricambiato nel suo slancio. Ne emerge una figura così forte dall’aver condizionato in modo decisivo sia l’intensità del pensiero di Carlo, sia l’esito infausto della sua esperienza di uomo. Anche Nadia si è suicidata, pochi anni prima, nel centro di Firenze, avvelenandosi e sparandosi un colpo di rivoltella. E prima di compiere questo terribile gesto, Nadia ne ha comunicato l’intenzione anche a Carlo, con una brevissima, ma esplicita, lettera che, per Campailla, lo ha “in-ca-te-na-to” (p. 200) al suo destino.
Già sposata con una spia zarista (il Baraden che le dà il cognome), Nadia Haimowitch emerge dalle cronache del tempo come un’eccentrica studentessa della celebre Scuola del Nudo, una donna giovane e affascinante, di famiglia ebraica, con un passato insospettabile di rivoluzionaria e di condannata in Siberia e poi all’esilio. Ammirata dalla buona borghesia fiorentina e corteggiata dalla nobiltà locale, rappresenta un lato misterioso che l’Italia dell’inizio del Novecento ancora non può capire e che percepisce, anzi, come spazio dell’esotico o del nevrotico. Nadia, però, è l’eroina incompresa e proto-tipica di uno sconvolgimento politico che presto infiammerà tutta l’Europa e che ne rende la testimonianza un’icona della stessa persuasione che Michelstaedter ricercava come ideale assoluto. Per Campailla, in definitiva, Nadia è stata, per Michelstaedter, ciò che Lou Salomé è stata per Nietzsche. Capirci qualcosa di più non è, quindi, un affare trascurabile.
Il libro è una specie di congegno ad orologeria, il cui ticchettio cresce di intensità passo dopo passo. Ritagli di giornale e documenti recuperati in archivi pubblici e privati si mescolano ai ricordi del giovane studioso, ai primi sguardi, negli anni Settanta, tra le carte gelosamente custodite dalla sorella di Michelstaedter. Deduzioni e ricostruzioni puntuali si intrecciano, poi, a piccoli ma suggestivi schizzi sulla società dell’epoca e sui tanti ed inquietanti tabù che la percorrevano e di cui è stata vittima anche Nadia. Ma senza dubbio il merito del saggio è riportare attenzione attorno ad esperienze individuali irripetibili, che oggi, paradossalmente, ci appaiono come il più chiaro presagio delle inquietudini di un secolo intero.
Una poesia di Michelstaedter su Nadia (da C. Michelstaedter, Poesie, Milano, Adelphi, 1987, p. 43):
Sibila il legno nel camino antico
e par che tristi rimembranze chiami
mentre filtra sottil pei suoi forami
vena di fumo.
O caminetto antico quanto è triste
che nella nera bozza tua rimanga
la legna che non arde e par che pianga
di desiderio,
ma dal profondo della sua poltrona
socchiusi gli occhi, il biondo capo chino
stese le mani al foco del camino
Nadia ride.
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