La fossa dei lupi si può acquistare e leggere solo per estrema curiosità. Il soggetto, infatti, è potenzialmente stimolante. Ma le attese vanno moderate con cura, attivando sin dal principio un sano senso delle proporzioni. Visto che Ben Pastor – la giallista che Sellerio ha fatto apprezzare con la pubblicazione delle indagini e avventure di Martin Bora, ufficiale della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale: personaggio non ignoto a queste pagine – si confronta, addirittura, con un esperimento dichiaratamente impossibile: scrivere la continuazione dei Promessi sposi. Appare subito chiaro, in realtà, che l’Autrice non vuole – né potrebbe, del resto – riprendere il filo del potente affresco manzoniano. Il suo è solo un nuovo sforzo di fedele ambientazione storica, alla ricerca di un ulteriore eroe letterario (dopo Bora, infatti, la Pastor si è cimentata con la caratterizzazione di altri detective: il romano Elio Sparziano, direttamente dal IV secolo d.C.; e la coppia Meisl-Heida, un medico e un ufficiale che operano nella Praga del 1914). Qui è la volta di Diego Antonio de Olivares, giovane nobiluomo di lignaggio spagnolo e luogotenente di giustizia nella Milano del 1631. Il quale è incaricato nientemeno che delle indagini sulla morte improvvisa di Bernardino Visconti, il famoso Innominato, da ultimo assassinato con un colpo di calibro in un agguato notturno lungo un impervio sentiero della montagna lecchese.

Che dire di questa sperimentazione seicentesca? Sul piano del giallo, purtroppo, c’è poco da valutare. La trama è lenta e un po’ leziosa, e la soluzione è tutt’altro che misteriosa. Inoltre, le figure dei Promessi sposi – da Renzo a Lucia, da Agnese a Don Abbondio, dal defunto don Rodrigo alla monaca di Monza – ri-compaiono in una versione quasi macchiettistica, secondo lineamenti che da semplici si fanno un po’ troppo semplicistici. Vero è che l’Autrice lascia trasparire qualche personale antipatia, personalizzando l’universo del Manzoni in maniera talvolta un po’ comica, e in fondo paradossalmente gradevole. Tuttavia queste nuances non sono risolutive. Il tutto, poi, contrasta fin troppo con il profilo, viceversa convincente, di Olivares, per il quale – promesso e aspirante gesuita, ma in via di progressivo pentimento, specie mercé lo spirito e le grazie della bella, indipendente e curiosa Donna Polissena – non si può non provare simpatia. Con ciò occorre, dunque, concludere che, se l’omaggio a Manzoni – della cui sincerità, certo, non si dubita – non risulta riuscito, lo studio della scena e della cultura milanesi del tempo e la strutturazione di un futuro, credibile, protagonista per prossime, autentiche, e originali, imprese riescono prospetticamente promettenti. Anche perché ne La fossa dei lupi non si assiste solo alla nascita di un investigatore intelligente e smaliziato, ma ci si diverte abbandonandosi alla incerta fluttuazione dei suoi pensieri, dei suoi dubbi morali, del suo senso di giustizia. In altre parole, della sua formazione di uomo adulto, autonomo e responsabile. Che, come bene intuisce la Pastor, solo una spiazzante e intelligente educazione sentimentale può correttamente alimentare.

Un’intervista all’Autrice

Il romanzo in forma di audiolibro

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