Questo breve saggio – il cui sottotitolo è “Il linguaggio e il potere” – si divide in due parti. Nella prima l’Autore propone la sua tesi: la svolta fondamentale del pensiero di Wittgenstein – nel passaggio dal celebre Tractatus alle Philosophical Investigations – sarebbe avvenuta grazie alle sollecitazioni provenienti dal dialogo con l’economista Piero Sraffa, che a sua volta gli avrebbe mediato alcune delle più importanti intuizioni gramsciane. Anzi, per Lo Piparo sarebbero individuabili continuità particolarmente significative tra la nozione di gioco linguistico, teorizzata dal filosofo tedesco, e specifiche osservazioni articolate da Gramsci in uno dei Quaderni (il n. 29) compilati durante la sua carcerazione. Sraffa, in particolare, ne avrebbe conosciuto il contenuto in anteprima, restandone influenzato e finendo, così, per influenzare anche Wittgenstein, amico e collega in quel di Cambridge. La seconda parte del libro ospita, nell’ordine, una sintetica biografia parallela dei due protagonisti (finalizzata a dimostrare le ragioni esistenziali delle sintomatiche convergenze tra i due interpreti); una ricostruzione altrettanto compatta del rapporto costantemente dialettico, in Gramsci, tra la vocazione accademica e l’impegno politico (per chiarire che la forte inclinazione per gli studi linguistici è sempre stata viva nell’intellettuale sardo); una veloce analisi dello studio dedicato da Gramsci, nei Quaderni, al Canto X dell’Inferno dantesco (per suggerire che la crisi seguita alla restrizione definitiva di ogni orizzonte politico concreto avrebbe concentrato il dirigente comunista nella coltivazione radicale delle intuizioni che ne avevano fatto, in gioventù, un promettente, e preveggente, studioso).

Riesce molto arduo riflettere sulla credibilità della ricostruzione di Lo Piparo. Occorrerebbe poterlo fare con maggiore cognizione di causa. Tra l’altro, assumendo le classiche vesti della lettura congetturale, una simile ricostruzione, ahimè, può e non può dirsi fondata, con il medesimo grado di approssimazione. Né sono mancate, tra gli appassionati e gli addetti ai lavori, critiche puntuali (cfr., ad esempio, qui, qui e qui). Questo testo, tuttavia, ha un suo intrinseco valore, che è percepibile soprattutto sotto un diverso angolo visuale. Riesce, cioè, in modo molto efficace, a risvegliare anche nel grande pubblico l’interesse per due giganti del Novecento (su Gramsci, però, v. anche il bellissimo libro di Giuseppe Vacca) e per la singolare vicinanza che si potrebbe comunque intravedere nella prospettiva con cui essi guardano alla natura, normativa e istituzionale, delle regole linguistiche. Quello che conta, in particolare, nel linguaggio, è la pratica dei parlanti, che per Wittgenstein identifica un “gioco linguistico” e per Gramsci corrisponde a “una concezione del mondo integrale”, frutto di processi sociali particolarmente complessi. È qui che Lo Piparo immagina un raffronto tra la “forma di vita” di Wittgenstein e la “praxis” di Gramsci. Ed è sempre a questo riguardo che, in un capitolo quasi sperimentale (pp. 81 ss.), lo stesso Lo Piparo prova ad esemplificare la tenuta dell’analogia così ipotizzata, attingendo a esercizi di scuola e ad aneddoti filosofici. Il passaggio forse più bello di questa trattazione è quello in cui l’Autore spiega le origini della teoria gramsciana dell’egemonia, soffermandosi sulle riflessioni che i Quaderni dedicano al “moderno Principe”. Il saggio, in generale, può avere una certa importanza anche per i giuristi. Permette di verificare la presenza, nelle migliori elaborazioni intellettuali della prima metà del Secolo scorso, di un humus comune, di quell’onda lunga del positivismo scientifico di fine Ottocento che, fondendosi in modo apparentemente inaspettato con una radicata impostazione romantica e idealistica, ha largamente condizionato anche le scienze umane e sociali, dando vita a letture particolarmente potenti, come quelle di Santi Romano (L’ordinamento giuridico, 1917), e Costantino Mortati (La costituzione in senso materiale, 1940).

Recensioni (di Dario Cecchi; di Paulo Fernando Lévano; di Francesco Raparelli; di Raffaele Simone; di Pietro Violante)

Franco Lo Piparo a Fahrenheit

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