A volte sono le situazioni a rammentarci tutta l’importanza di certe parole. E ciò può valere anche per alcuni versi, di cui ricordarsi proprio nei luoghi e nei gesti da cui essi volevano deliberatamente scaturire. Per chi li ha scritti, sono il prodotto più sincero di spazi e di momenti precisi. Sono il frutto, ad esempio, della fatica di percorrere un sentiero e di sperimentare in questo modo i movimenti sincronici e coordinati della camminata, e quindi anche della poesia, come ritmo congeniale di un equilibrio psico-fisico e come piena compartecipazione al destino delle cose. “La lirica è natura” – scrive Paola Loreto all’inizio di Attraversata in quota (p. 66) – “La stessa che mi abita / se metto con cura / un passo dietro l’altro”. È proprio vero. Questo libro si può capire solo affrontando la salita, il sudore e il contatto con tutto ciò che ci viene incontro nel percorso e che, forse, a sua volta, non si può comprendere, se non per mezzo di rapide intuizioni, magari con l’aiuto di questa limpida guida sentimentale alla montagna e alle sue altitudini, geografiche e mentali.
È una questione di direzioni, di scenari, di obiettivi, di motivazioni, di tutto ciò che è utile per il quotidiano Corpo a corpo (p. 72) cui siamo chiamati: “Perché quando procedi con fatica / su un sentiero che si inerpica sul monte / spezzato dal vento sferzante, / i capelli appiccicati alla fronte / e le dita intirizzite, / sei vicina alla vita”. La montagna è come una palestra, dove potersi misurare, ricostruire, ritrovare e temprare; un posto personale ma anche universale ed immutabile, del quale provare nostalgia e nel quale avvertire meraviglia, comunicandole con voce semplice e pulita; uno strumento per orizzontarsi e per gridare all’amore, almeno Fin che c’è (p. 95), visto che “La fine arriva sempre inaspettata / e non c’è verso di prepararsi: / si può solo star pronti a disfare il distacco, la fitta, il delitto”. Nel frattempo, resta la vetta, il punto d’arrivo, che è sempre la nuova scoperta, e che nello stesso tempo si rivela come metafora di un intenso dire di sì, a tutta la vita, a tutte le sue cose, belle o brutte, al senso immediato, intrinseco e spontaneo del viaggio, dell’ascesa e delle sue tappe.
Recensioni (di Gabriele Gabbia, Ottavio Rossani, Maurizio Cucchi)
Formula alchemica
Fondamentale
è come ti issi
sul piede
quando hai fatto
il passo.
Quanto peso porti
avanti e in alto.
Quanto equilibrio
domini. L’agilità
che elargisci. La fuga.
Fai leva sulle punte o
appoggi anche il calcagno.
Interrompi la corsa o
è uno il circolo del moto
il cerchio dei movimenti?
Alterni gambe e braccia:
mani che stringono
manopole, petto
che si alza e abbassa
a un ritmo eguale
di elastico ben teso
ma non esasperato
mai senza fiato.
Non c’è un uomo con te.
Non esiste la stessa ratio
peso/muscolatura
a ripeterti, identico,
altrove. È non c’è
calcolo, misurazione
che tenga del tutto:
che ti preveda
che ti programmi
che dica il vero.
Sei un organismo:
un individuo che sale
leggero o meno.
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