Chi non conosce la storia di Guglielmo Tell? Per gli smemorati, è la famosa vicenda di quel cacciatore svizzero che è costretto ad impegnarsi nella folle sfida di colpire con la sua balestra la mela posta sul capo del figlio: che fare? Ritirarsi, e cedere così al sopruso del potente che lo ha provocato in tal modo; o difendere l’onore, proprio e della propria gente, aggrappandosi alle sue innate capacità di tiratore? Questa storia, connotata dai lineamenti incerti che si addicono alla leggenda, è anche al centro del mito fondativo della Svizzera e della conquista della sua autonomia e della sua neutralità: il potente che sfida Tell, infatti, non è altro che un rappresentante dell’autorità imperiale degli Asburgo, e la vittoria del valligiano, che si rifiuta di omaggiarne pubblicamente le insegne e che per questo è spinto alla celebre prova, fissa un confine che per quell’autorità non sarà mai più valicabile. Si tratta, quindi, di una cosa seria, che per ogni svizzero assume tuttora un significato particolare.

Tuttavia, ecco irrompere il simpatico libretto di Max Frisch, che presenta il suo Guglielmo Tell e si misura nel genere originalissimo, se non unico, del racconto glossato, di una sequenza semiseria di tanti brevi capitoli che, alternati ad un cospicuo e gustoso apparato di note, riescono in un effetto tra il comico e lo straniante. È comico, questo Tell, perché è buffo, pigro e per nulla imperioso il suo antagonista, che peraltro è il personaggio principale della trama disegnata da Frisch e che viene ritratto, per così dire, sin dai primordi della sua avventura: ha un nome sempre incerto; non desidera altro che andarsene via al più presto; cerca di interloquire ed integragire con gli autoctoni, ricevendone spesso l’indifferenza e l’ostilità; si sente a disagio ed è preso in giro anche dai bambini, che lo scambiano per uno spiritello malvagio; se si propone qualcosa, poi, lo fa soltanto per ripristinare un po’ di legalità, di buon gusto e di correttezza. Allo stesso tempo, il Tell di Frisch è straniante: perché nelle note si apprende che, stando alle poche fonti realmente attendibili, le possibili variazioni del tema leggendario sono molte e che, forse, alla base delle rivendicazioni locali, non ci sono solo atti di nobile resistenza, ma anche aspirazioni puramente egoistiche o, semplicemente, la pervicace consuetudine ad una vita appartata e ad orizzonti spaziali e mentali completamente rigidi ed autoreferenziali. Inoltre, proprio sul più bello – proprio nel momento in cui si cerca di capire che cosa avrebbe scatenato l’incidente diplomatico ed accelerato il corso degli eventi – lo smaliziato romanziere arriva quasi al punto di combinare la comicità e lo straniamento, avvalorando l’idea che a dominare la scena sia stato soltanto un equivoco e che il povero balivo si sia trovato, suo malgrado, a doverne pagare l’indebita conseguenza.

Frisch riesce nell’impresa di “smontare” una gloria nazionale senza, con ciò, travolgerne del tutto l’importanza storica e senza, soprattutto, sminuirne l’originalità. Si può dire, anzi, che il puntuale apparato critico, se da un lato enfatizza gli ironici strali che il grande scrittore rivolge nei confronti di ogni retorica, dall’altro facilita la contestualizzazione più seria e il confronto più critico, nella prospettiva di chi tiene al passato, ma (preferibilmente) a quello più autentico e sincero. È un’opera “per la scuola”, in effetti: perché l’operazione di memoria che Frisch compie ha un chiaro intento culturale e pedagogico, alla ricerca di un’identità che non sia il frutto di stereotipate e comode rappresentazioni. Ma Guglielmo Tell per la scuola è anche un manifesto letterario, l’ottimo esemplare dei canoni teorizzati in Quadrato nero, per i quali la realtà più vera può solo essere inventata e l’immaginazione presenta chiavi di lettura che la ragione, da sola, non permette di azionare completamente. In questo testo, alla fine, l’Autore dell’indimenticabile Homo Faber sembra davvero molto vicino a Dürrenmatt e ci offre, così, un’altra buona occasione per conoscere meglio e per comprendere appieno quella profonda capacità decostruttiva che lo ha reso famoso e che non sorge esclusivamente da un esercizio estremamente analitico, ma sa trionfare specialmente quando esplode, nelle pieghe di un sorriso, da una considerazione del tutto onesta delle naturali debolezze degli uomini.

Il Max Frisch Archive

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