Chi sono i radical chic “all’italiana”? Di certo non sono quelli che Tom Wolfe aveva battezzato così nel 1970, sul Magazine del New York Times. Sono molto più comuni e avvicinabili di quello che sembra, anche se ne hanno per tutti e per tutto, perché sono interpreti, come i primi, di una visione del mondo. Per spiegarcelo, Daniela Ranieri ce ne presenta alcuni prototipi sulla terrazza romana della sua amica Luciana e li fa interagire, lasciandoli dialogare liberamente di cucina, arte, cultura, letteratura, arredamento, sesso, politica, religione, viaggi… Ogni capitolo è un appuntamento tematico con questa singolare dimensione antropologica e con i commenti – ora seri e quasi scientifici, ora divertiti – che l’Autrice formula in ogni occasione, un po’ per agevolare la comprensione del lettore, un po’ per suscitarne l’ironia. Ma il testo ci aiuta anche a chiarire, tra tanti e inevitabili sorrisi, come e perché sia possibile che nel popolo della sinistra nazionale si siano generate le posizioni sofisticate e oligarchiche, e intimamente contraddittorie e parassitarie, che caratterizzano il complesso, e nient’affatto minoritario, universo degli aristocratici democratici. Grandi conclusioni, alla fine, non sono possibili, ma la climax che cresce lungo tutto il testo esplode in sette pagine definitive, di intensa e dettagliata fisionomia dei radical chic e della loro (disperante) eredità morale e intellettuale. Le ultime righe sono più esplicite che mai: “Sono giustamente duri con chi possiede solo soldi e nessuna cultura e nessuna sensibilità, ma con la stessa durezza dimenticano, disprezzano o ignorano chi non ha nulla di nulla. Hanno capito che la Storia non è affatto finita, e con uno svolazzo della mano e un sorrisetto il più possibile asprigno hanno aggiunto «Purtroppo!»”.

Questo libro è come una quiche da competizione: pietanza raffinata dalla preparazione apparentemente facile, che non sempre riesce bene. In tal caso il risultato è decisamente fragrante, perché la sfoglia tiene la cottura. Daniela Ranieri, infatti, scrive bene; adatta perfettamente lo stile alla materia, composta com’è da un mix di ricercatezze esemplari, tremendi luoghi comuni e vuoti svolazzi da gossip. Siamo di fronte ad una scrittrice col martello (l’allusione nietzscheana non è per nulla casuale, visto il titolo dell’ultimo capitolo…), che, senza indulgere ad una gravitas quanto mai rischiosa, fa satira e ricerca sociologica insieme. Soprattutto, però, la Ranieri, nel suo ritratto impietoso della sinistra borghese, riesce ad essere convincente con totale e irriverente spontaneità, perché sin dall’inizio si confessa essa stessa complice compromessa del mondo che non la persuade più: “la mia mente è una villa in rovina fuori dall’Impero, anzi: l’isolotto rotondo dentro questa, anzi, meglio: la mia mente è un prato di sterpi di ferrovia, lontano, con dentro, semisepolto, qualche reperto, due o tre colonne di templi pagani, il resto incenerito di un sacrificio; alle spalle ha un giardino di un monastero benedettino, e il ventre e la groppa gonfi di catacombe”. La parte migliore dello spettacolo allestito dall’Autrice è quella “Sulla politica, il voto e la rappresentanza”, non solo per il fatto che l’analisi è scopertamente più profonda, ma anche per la ragione che si intravede assai bene l’origine del vuoto pneumatico: se non c’è più differenza tra destra e sinistra, allora anche gli ideali di progresso possono farsi settari e sprezzanti. Viene da pensare, in fondo, che quella radical chic sia una super-filosofia: la dimensione che una larga fila di perdenti ha saputo e vuole ancora costruirsi per cercare di mascherare la propria incapacità di cambiare la società e per ritagliarsi, in un contesto così povero, un posto al sole meno banale di quello che le potrebbe altrimenti spettare.

Un’intervista all’Autrice

Daniela Ranieri ospite di Melog

Recensioni (di Andrea Pomella, Alessandro Gnocchi, Michele Masneri, Francesco Pacifico)

Dai radical chic ai nuovi snob: un pezzo di Alessandro Piperno

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Prima di Natale è d’uopo accostarsi ad una tipica strenna natalizia, ad un titolo “buono per tutti i gusti” (e quindi per tutti i regali…). Perché non ricorrere, allora, all’inossidabile Piero Angela?

L’ultimo lavoro di questo perfetto divulgatore professionista non si propone di spiegarci quando e come è comparso l’uomo sulla terra, o quando e come è nato l’universo, oppure come è fatto e come funziona il nostro corpo. Le questioni sono altre e strettamente attuali: che cosa dovrebbe fare davvero la politica? Qual è il suo compito migliore? Come si possono fronteggiare le sfide della crisi e delle correlate necessità di crescita e di sviluppo? In qualche modo, per chi è stato fedele spettatore di Quark, Superquark e affini, la risposta di Angela è scontata. Perché si tratta della risposta di un vero amante della ragione e delle scoperte che essa consente e che ci permettono di arricchire la nostra esperienza e di aprirci prospettive sempre nuove.

Per Angela, infatti, la politica non dovrebbe soltanto occuparsi di litigare rumorosamente sui modi con cui la ricchezza viene distribuita, cercando, per questa via, di conservare o di ottenere i propri privilegi e il consenso di chi glieli concede; la politica dovrebbe occuparsi di produrre la ricchezza collettiva e, per fare ciò, di “curare” la manutenzione e l’aggiornamento del software cui si devono le idee che consentono quella produzione e che la spingono verso risultati sempre migliori e competitivi. Le difficoltà italiane, del resto, vengono ricondotte proprio alla sottovalutazione persistente della cultura scientifica, della ricerca e della scuola, ossia delle energie che permettono l’avviamento e il funzionamento di tutto quel complesso ecosistema artificiale in cui si risolvono le istituzioni sociali ed economiche.

È una lettura chiara, molto facile, corredata da analogie interessanti, metafore accattivanti, dati e argomenti noti ma spesso dimenticati o volutamente ignorati, esempi illuminati e suggerimenti quasi ingenui eppure assai evidenti. Sembra esserci, a prima lettura, almeno un punto debole: la scienza e la tecnologia sono date sempre e comunque per “assodate”; la politica non è altro che una meta-tecnica, uno strumento tanto fondamentale quanto correlato, si potrebbe dire, ad una sua intrinseca vocazione maieutica, quella di spingere gli uomini a valorizzare al meglio il loro meglio, e questo meglio viene indicato sempre nel superamento del confine. In verità questa impressione è solo apparente; Angela non pensa che esista un approccio epistemologico di “serie A” e che solo esso dovrebbe essere perseguito. Semplicemente, ci ricorda che senza le innovazioni e le rivoluzioni dell’ingegno la nostra vita sarebbe ancora radicalmente differente, difficile, anzi precaria, e che occorre risvegliare continuativamente quest’intima consapevolezza, per non rischiare di perdere la splendida possibilità di pensare anche cose, altrettanto vitali, che non sono scientifiche o tecnologiche.

Chi è Piero Angela?

Una recente presentazione del libro

Il sito di Superquark

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