“La civiltà contemporanea ripone tutta la fiducia nelle soluzioni pratiche e mette, anche senza dichiararlo, fra parentesi tutto quello che minaccia il proprio ottimismo. Eppure tutto l’orrore non è solo un difetto di funzionamento, ma il rovescio di quello che la civiltà odierna ammira con tanto entusiasmo” (p. 56).

Questo è, in estrema sintesi, il messaggio che Földényi vuole veicolare in questo piccolo esperimento pedagogico. Lo definisco così, poiché non è un saggio su Hegel in Dostoevskij; poiché è un lavoro che intende dimostrare e trasmettere qualcosa; e poiché muove, con una finalità ben precisa, da un intreccio argomentato di storia e di finzione, dall’immagine, cioè, quasi teatrale di Dostoevskij condannato in Siberia (fatto reale) e sorpreso a piangere durante la lettura di alcuni passaggi delle Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel (fatto immaginato). Una simile rappresentazione consente all’Autore ungherese di dipingere in modo pressoché indimenticabile un’idea molto forte, a sintesi delle evoluzioni più profonde del pensiero occidentale. Come se ci trovassimo di fronte ad un’icona.

Che cosa fa piangere Dostoevskij? L’affermazione di Hegel sulla Siberia, considerata “fuori dalla storia”, alla stessa stregua dell’Africa, misteriosa e incomprensibile. Eppure, il sentirsi completamente trascurato dalla visione razionalistica propugnata dal filosofo tedesco e dalle sue sperimentazioni viventi e progressive, è l’occasione, per il grande scrittore russo, di un momento di intima comprensione. Ci sono luoghi, cioè, in cui neppure la ragione può giungere e rispetto ai quali solo il miracolo può avere un valore salvifico. Anzi, questi luoghi meritano tanto più attenzione, per ascoltare ciò che la ragione non può mai travolgere, ossia per difendere uno spazio autentico di libertà: “Non si può parlare di libertà se infinito e trascendenza si perdono dietro cose limitate. Il dio assoggettato alla razionalità non è il dio della libertà ma della politica, della conquista e della colonizzazione” (p. 31).

Le pagine oscure dell’Occidente si spiegherebbero, dunque, alla luce del processo di secolarizzazione, che eleva la ragione e le sue manifestazioni, anche istituzionali, a misura onnicomprensiva, potenzialmente onnivora e violenta. La tesi di Földényi non è nuova; ma il metodo della sua illustrazione è davvero incisivo, e assicura, ben al di là del brevissimo tempo che occorre alla lettura, intermezzi notevoli di suggestione, riflessione e approfondimento.

Un altro breve pezzo di Lázló F. Földényi (Congedo dalla cultura)

Una conversazione (in tedesco) con Lázló F. Földényi

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