La storia contenuta in questo romanzo è raccontata dalla voce di Marco, un giovane aspirante studioso, che si è laureato in Lettere a Padova. Tutto comincia nella ricostruzione del rapporto tra lui e Federico, suo compagno di corso. Pur accomunati dall’intenzione di inserirsi nel mondo accademico, i due sono assai diversi. Marco è di umili origini, proviene da un piccolo paese della provincia di Treviso e ha un carattere tendenzialmente riservato. Il fatto di essere omosessuale lo pone anche al di fuori delle relazioni affettive che molti suoi colleghi possono intraprendere. Federico è padovano doc, di famiglia benestante ed è assai estroverso: in altre parole, sa vendersi bene, tra i coetanei e le ragazze come tra i professori. Le strade dei due apparentemente si distanziano quando Federico si iscrive a Bologna per la laurea magistrale. Ma poi, all’improvviso, i docenti patavini con cui collabora Marco preferiscono Federico, al quale viene assegnato il compito retribuito di curare un carteggio tra due figure minori di intellettuali scrittori operanti negli anni Sessanta. Marco, nel frattempo, pur continuando a frequentare saltuariamente l’università, comincia a fare il supplente in una scuola media. La ricerca di Federico sembra rivelarsi molto promettente, tanto da spingerlo a scavare nei rapporti tra uno di quegli scrittori, Vittorio Ferretti, il più famoso, e Maria Zanca, una misteriosa meteora della letteratura femminista, tuttora vivente e residente nel piccolo paesino montano di Lastebasse, tra la provincia di Vicenza e il Trentino. Gli ulteriori sviluppi paiono a dir poco inquietanti e inspiegabili, fino all’epilogo, falsamente normalizzante, in cui Marco ritrova, quasi per un sortilegio, la via accademica che fino a quel momento gli era parsa ormai preclusa.
Si è molto parlato, negli ultimi tempi, del (bel) libro di Dario Ferrari,La ricreazione è finita, come di un godibile e riuscito romanzo sull’università. La scrittrice nel buio – più breve e, a prima vista, più semplice e lineare – lo supera. Malvestio, infatti, allestisce una macchina narrativa su più piani, che pare condurre il lettore in una direzione (la vicenda tra Marco e Federico) e, poi, invece, lo sposta in un’altra (la vicenda su cui i due compiono le loro indagini), per tornare infine alla vera chiave del racconto (la non-relazione tra i due non-amici e la spietatezza del contesto in cui essa si disvela). Nel mentre, l’Autore crea un’ambientazione un po’ mistery e un po’ weird, che, ruotando attorno alla figura spettrale di Maria Zanca, si nutre di suggestioni ulteriori (l’eterno e spontaneo femminino vs. l’artificio e la falsità della postura maschile) e stende a sua volta sulla intera trama una tensione via via sempre più palpabile. È un crescendo, del tutto funzionale al movimento che lo scrittore intende compiere (ritornando all’università, e “invertendo la posizione” dei due personaggi principali) e che si coglie nella sua vera luce soltanto in chiusura. Perché, senza voler rivelare null’altro del libro, quello di Marco – che umile, serio e pacato rievoca le esagerazioni e le vacuità dell’ambizioso Federico – altro non è che il più classico dei patti faustiani, concluso, però, con una forza diabolica che non sta nel soprannaturale, ma nell’oggetto stesso delle aspirazioni dei due accademici in erba. È così, dunque, che lo sguardo critico dell’Autore non passa per le connotazioni pressoché stereotipiche e superficiali (eppure a tratti verosimili) con cui si delineano gli interlocutori scientifici dei due ragazzi; ma si intreccia, in maniera letterariamente efficace, con il potere bruciante dell’incantesimo che occorre accettare per poter trovare un proprio posto in un certo mondo.
PS: il romanzo merita una notazione supplementare, che riguarda il personaggio di Maria Zanca, riuscitissimo e degno di una sceneggiatura virtualmente magnetica. Non si può fare a meno di pensare, peraltro, che, oltre a riferirsi a Lovecraft per la generale atmosfera che permea la narrazione (Federico ne legge i racconti… sicché il rinvio è dichiarato), Malvestio si sia, almeno in parte, ispirato alle anguane di Umberto Matino e alle fosche e avventurose location dei romanzi cimbri che quest’ultimo ha prodotto nel corso degli anni
Recensioni (di L. Gafforini; di D. Ippolito; di N. Trevisan)
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