In questo romanzo la vicenda immaginata da Andrea Tarabbia lo vede diretto protagonista, nella parte di uno scrittore che sta affrontando un periodo un po’ disorientante della sua vita. Si sente seguito ogni tanto da un serpente nero e guizzante, e decide di rivolgersi a uno psicanalista, il dottor P. Quest’ultimo lo riceve a casa, in uno studio attiguo alle sue stanze private. È così che ne conosce la moglie, la bellissima Silvia, e scopre la peculiare situazione della coppia. Lei frequenta il giovane Marcello, ragazzo bellissimo, ma violento, e affiliato a una pericolosa organizzazione di estrema destra. Il dottore, invece. ha una relazione con una donna del Nordest, e ogni tanto si allontana per passarvi del tempo. Entrambi sanno perfettamente quali sono le esperienze vissute dal proprio partner. Tarabbia, che ben presto viene in contatto con Marcello e diventa anche confidente del dottor P., comincia a frequentare il manipolo di attivisti di cui Marcello è il leader. Ne è in qualche modo attratto, ne conosce i membri, viene coinvolto in qualche azione e in altrettante riunioni, che si tengono al Babij Jar, un covo dal nome sinistro, pieno di animali e rettili imbalsamati, di cimeli fascisti e neo-fascisti, e di un archivio che tiene traccia, se così si può dire, degli “eroi di riferimento”. La storia dello scrittore inquieto – che, pure, ha dei trascorsi con una ragazza moldava di nome Anna – si intreccia con il percorso di una relazione aggressiva e morbosa, alla quale Silvia si sottomette sempre di più, fino all’esito pressoché inevitabile e, forse, previsto sin dal principio.

Si può prendere un libro famoso, a suo modo misterioso, e trarne ispirazione, oggi, per una specie di libro gemello? Il continente bianco realizza quest’operazione, scopertamente, muovendo da L’odore del sangue – l’ultimo e particolarissimo romanzo, postumo, di Goffredo Parise – e riscrivendolo, con alcune variazioni e con prospettive che, naturalmente, sono nuove, eppure invitano alla rilettura più attenta dell’originale. Quello di Parise è romanzo segnato da una maggiore insistenza individuale e psicologica, di scavo su desideri, pulsioni erotiche, aspettative e fragilità personali, quasi fossero orizzonti irredimibili. Anche il libro di Tarabbia è attraversato da una pluralità di destini, di esistenze cacciate e ricacciate nelle proprie strade da una qualche forza di gravità. Ma talvolta si ha l’impressione che nella penna di questo Autore si nasconda anche un interesse maggiormente “collettivo”. L’odore del sangue che evoca è parzialmente altro rispetto a quello di Parise. O meglio: è lo stesso, ma Tarabbia vuol farci capire che “tutti” lo possiamo avvertire; e che, al di là delle notazioni che Cesare Garboli aveva dedicato all’incombenza della morte dell’Autore stesso, come motore del romanzo parisiano, ci troviamo di fronte a un’esperienza molto più “diffusa” e “prossima” di quanto si possa immaginare. L’immersione di Tarabbia, così, diventa un po’ anche la nostra. È questa la cifra de Il continente bianco, che è un medium per comprendere più a fondo, ed esplodere, la grandezza de L’odore del sangue. Ne è anche un’ottima sceneggiatura: un plot già pronto per una trasposizione cinematografica che potrebbe funzionare assai bene.

Recensioni (di L. Illetterati; di S. Mariani; di G. Raccis; di D. Valentini)

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