Yves le Breton è un influente e temuto inquisitore al seguito di re Luigi IX di Francia, partito verso l’Egitto per la settima crociata. La spedizione, avviatasi bene, conosce una drammatica battuta d’arresto a Mansura, dove una battaglia potenzialmente vittoriosa si trasforma giorno dopo giorno in un’esiziale sconfitta. Tanto da mettere a repentaglio la vita stessa del sovrano francese, preso in ostaggio con i suoi migliori cavalieri. Ad ogni modo, è nel corso delle prime fasi dello scontro che accade qualcosa di strano. Un manipolo di templari si introduce nella tenda del capo dell’esercito avversario, alla ricerca di qualcosa. Si capisce rapidamente che quella stessa cosa è anche oggetto delle attenzioni di un emiro della città assediata. Lo scaltro inquisitore capta subito la presenza di un segreto e si mette all’opera, indagando in loco e trovando alcune monete romane e un frammento di pergamena. Questo è solo il principio di un’avventura complessa e vorticosa, che dal delta del Nilo si svilupperà fino ad Acri e a Gerusalemme, tra battaglie e agguati, interrogatori e sospetti, inseguimenti e trame di palazzo. Il lettore sarà anche obbligato a fare qualche incursione indietro nel tempo, nella Roma di Nerone e delle prime persecuzioni nei confronti dei cristiani. Passo dopo passo, il racconto – che, per il tramite di un enigmatico e risoluto emissario, si arricchisce anche della incombente presenza dell’imperatore Federico II e della correlata suggestione geopolitica – svela le ragioni profonde delle inquietudini che agitano tutti i protagonisti, conducendoci, quasi in una ricerca archeologica, sulle tracce di Ponzio Pilato e della Passione di Cristo, e dunque al cuore di uno dei misteri religiosi più grandi.
Ho acquistato questo libro per tre ragioni: è selezionato nella sestina del premio Bancarella 2022; il suo Autore ha partecipato alla scrittura di un buon romanzo storico di qualche anno fa; al centro della trama è attivo un personaggio che potrebbe ricordare il domenicano Nicholas Eymerich, l’iconico eroe della brillante epopea creata da Valerio Evangelisti, recentemente scomparso. Occorre riconoscere che il contesto della – sfortunatissima – settima crociata è ricostruito in modo tanto avvincente quanto attento. Ne è da sottovalutare la bella caratterizzazione delle diverse figure che animano la scena e che qui sono evidentemente presentate ed esposte ad un primo assaggio di pubblico, in attesa di future prove (che del resto si sono materializzate: dopo questo volume è già stato edito Il tesoro del diavolo, come seconda puntata di quello che vuole essere un vero e proprio ciclo: Le cronache dell’inquisitore). Non si possono nascondere, però, alcuni punti deboli, che in parte hanno molto a che fare con un complessivo senso di deja vu. Che la trama si alimenti di una inchiesta, condotta con i ritmi della spy story, non è cosa nuova e a tratti si ha davvero l’impressione di trovarsi di fronte a un intreccio alla Dan Brown, tuttavia un po’ sbiadito. Come si può dire, d’altra parte, per il personaggio centrale dell’inquisitore, che a ben vedere impallidisce dinanzi all’efficacia, e alla disinvoltura, dello spietato ser Berto, finto mercante e acuto agente segreto della potente mano imperiale. Yves le Breton assomiglia soltanto all’Eymerich di Evangelisti, con un effetto che risulta troppo di maniera, perché certo non ripete la forza spiazzante dell’eroe di Evangelisti, eppure insiste meccanicamente su alcune posture che sollecitano un continuo confronto con l’originale, con il risultato di configurarne una sorta di svolgimento epigonico. Forse, in virtù di un processo paradossale, ma provvidenzialmente inverso, potrebbe succedere che le Breton faciliti, da parte dei molti non iniziati, la scoperta della figura di Eymerich: se fosse così, anche Nel nome di Dio avrebbe i suoi grandi, innegabili meriti.
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