Una collezione di 264 netsuke è ciò che all’Autore rimane della storia intensa, gloriosa e anche drammatica della sua famiglia. Ripercorrerla significa seguire le tracce di una preziosissima raccolta di piccoli capolavori giapponesi, che da un certo momento in poi diventa partecipe delle tormentate vicende degli Ephrussi, dinastia di commercianti e banchieri di prim’ordine nell’Europa tra Ottocento e Novecento. Edmund de Waal, però, non si cimenta nel racconto con lo spirito claudicante del biografo principiante. Vi si immerge con il temperamento elaborato del critico e dell’artista, e non senza una certa sensibilità storica, unita ad una particolare attenzione per il costume e per la cronaca.
Seguire le orme del primo proprietario dei netsuke, Charles Ephrussi, nella Parigi degli Impressionisti, non è soltanto un modo per risvegliare la voglia di rileggere Proust: serve a capire molto dell’alta borghesia francese, dei suoi riti e dell’antisemitismo continentale, dovunque sempre strisciante. Del resto, sono gli orrori della persecuzione nazista e dell’incombente Shoah a sorprendere anche il ramo viennese della famiglia, completamente travolta assieme ai netsuke, nell’intimo del suo Palais sulla Ringstrasse, privata di ogni sua ricchezza e costretta ad un fortunoso esilio. Le peripezie di Viktor, della moglie Emmy e dei loro figli assumono un valore in tutto e per tutto simbolico, al pari del destino dei graziosi ninnoli nipponici, salvati dall’astuzia della fedele cameriera, portati dopo la guerra in Inghilterra dalla volitiva Elisabeth e poi ancora traslati nel paese del Sol Levante, dove Ignace “Iggie” Ephrussi avvia una nuova vita con il compagno Jiro.
Riesce facile capire il successo di questo libro. La scrittura è leggera e gradevole, senza essere banale; i dettagli non distraggono, anzi, rafforzano di pagina in pagina una curiosità che non può che essere crescente; le figure della famiglia Ephrussi, accompagnate da un corredo fotografico essenziale e suggestivo, suscitano vera partecipazione. Inoltre il lungo viaggio dei netsuke non corrisponde ad un esclusivo e specialistico interesse dell’Autore, che pure è un fine e riconosciuto ceramista; i netsuke vagabondi rinnovano le sorti dell’Ebreo errante e le sue tragiche peripezie, dagli shtetl dell’Ucraina alle rive del Mar Nero, da Odessa alle capitali del continente e ancora più in là. Quei netsuke non sono altro che potenti talismani, veicoli sapienti di memorie che, dopo gli orrori dell’ultimo Secolo, non si possono più cancellare.
Le parole di de Waal, alla fine, testimoniano la conquista individuale di una coscienza che deve essere collettiva: “Il problema è che (…) vivo nel secolo sbagliato per bruciare le cose. Appartengo alla generazione sbagliata per lasciar perdere. Penso ai libri di un’intera biblioteca sistemati con cura dentro casse e scatoloni. Penso a tutti i roghi appiccati da quegli altri, penso alla cancellazione sistematica delle storie, alle persone separate dai propri beni, e poi dai propri familiari, alle famiglie separate dai propri vicini di casa. E poi dal proprio paese” (p. 385). Da questo punto di vista, il regalo migliore che questa lettura può dare è la riscoperta di un tema che sarebbe stato caro a Walter Benjamin. Forse, anche nella casa di ciascuno di noi esistono dei netsuke: se ci è rimasto qualcosa della nostra famiglia e della nostra storia, anche solo qualche cartolina o un anello o un quadro o una poltrona, custodiamole con cura; perché le piccole cose hanno la forza di assorbire, di trasmettere e di illuminare esistenze intere. Distruggere o perdere queste cose, in fondo, è come ri-distruggere e ri-perdere le intelligenze che gli hanno dato significato.
Due recensioni: Livia Manera e Mara Accettura
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