L’inizio de La stella della redenzione, di Franz Rosenzweig, mi è sempre rimasto particolarmente impresso: “Dalla morte, dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto”. Nel contesto di una potentissima, quanto oscura, proposta filosofica, questa affermazione rischia di risultarci soltanto astratta, troppo assoluta, inafferrabile. D’altra parte, in quell’incipit, non c’è traccia delle circostanze in cui quel libro è stato concepito: Rosenzweig lo ha compilato, pezzo per pezzo, sul retro di cartoline che spediva alla madre, mentre si trovava in trincea durante il primo conflitto mondiale. Era immerso, quindi, in una condizione nella quale quel pensiero non poteva abbandonarlo; sapendo tutto questo, cominciamo a capirlo un po’ meglio.
Anche Franco Arminio spedisce cartoline; o, meglio, le lascia spedire, con l’immaginazione, da persone senza nome, che sono già morte, e che ci consegnano, così, qualche frase sul loro decesso, su quello che sono stati costretti ad abbandonare, sul modo con cui le persone hanno reagito o, semplicemente, su come sono andate le cose. Ed anche Franco Arminio, nella Nota che segue alle sue 128 cartoline, rivela che “puoi scrivere intorno a questa cosa che forse regge tutto, intorno a questo niente che sorregge e corrode ogni cosa” soltanto “in quell’umore che ti viene dalla morte appena trascorsa”. Nel suo caso, il pensiero della morte viene in coincidenza con alcuni attacchi di panico. Per molti, quello stesso pensiero emerge allorché muore una persona cara.
Per un po’, dopo l’acquisto, ho considerato questo piccolo libro come qualcosa di intoccabile: avevo paura del suo contenuto, o forse dell’idea che ci si può fare, di solito, di un testo che rimanda chiaramente ad un qualcosa di cui mai si vorrebbe parlare. Invece la lettura di Cartoline dai morti si è rivelata un’esperienza tutt’altro che univoca o convenzionale. Perché il paesologo – e poeta – Franco Arminio, da par suo, non si è spinto a proporre interpretazioni universali, né ha voluto stimolare sentimenti di contrizione o di riflessione profonda. Si è soltanto proposto di fotografare esperienze possibili, spesso tragiche e strazianti, ma talvolta anche comiche e apparentemente surreali. Sicché si viene travolti da cartoline che sanno, allo stesso tempo, di casuale e di inevitabile, di imponderabile e di atteso, di realistico e di onirico, di sperato e di ignoto.
In questo la morte si scopre simile alla vita, come se ne fosse un vero completamento, così eccezionale in alcuni casi, così comune in altri, irripetibile e singolare sempre. Pur nella consapevolezza, quindi, che al segreto della morte ci si può avvicinare soltanto da vicino, Arminio ci consegna la chiave di uno scrigno che, una volta aperto, non può che essere pieno, paradossalmente, di episodi normali e di sensazioni ordinarie. Probabilmente è proprio vero: l’unico modo per esorcizzare la paura è riconoscere l’estrema naturalezza del suo oggetto.
Cinque cartoline scelte:
Stavo togliendo di mezzo le maglie dell’inverno. Mi ero stancato di piegarle una a una e di trovare un posto dove nasconderle. Nella mia casa c’erano troppe cose. Troppe maglie, troppe scarpe, troppi cappotti, troppe sciarpe. Sono caduto a terra stringendomi a un maglione. Era un maglione verde, uno che non mi ero messo mai.
Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente.
Tutto per colpa di una vacca che di notte stava in mezzo all’autostrada.
Nessuno mi aveva spiegato niente. Ho dovuto fare tutto da solo: rimanere fermo e muto, raffreddarmi, iniziare a decompormi.
Non c’è neanche il niente, almeno così mi pare.