It’s just another manic Monday / I wish it was Sunday (The Bangles)
Ogni tanto ci si imbatte in un libro geniale. Forse non ci voleva neppure molto a pensarlo. Ma esiste sul serio e offre soddisfazioni notevoli. Soprattutto ci si diverte. L’Autore sceglie alcune delle poesie più note della tradizione scolastica italiana e le sottopone all’indagine meticolosa di un radar originale, penetrante e dissacrante. Non si avvale della lente della critica o della filologia. Utilizza soltanto il filtro paradossale e impertinente di un realismo assoluto e quasi “scientifico”, che prende i testi alla lettera. È così, ad esempio, che scopriamo che, in Davanti a San Guido, era davvero assai difficile che Carducci riuscisse a vedere i famosi cipressi dal finestrino di un treno in corsa nel buio di un tardo pomeriggio invernale. Tanto più era fisicamente insostenibile che i cipressi gli venissero incontro. Ancor più inverosimile è ciò che racconta Leopardi ne La ginestra: perché le pendici del Vesuvio non sono per nulla aride, né lo sono mai state. Del tutto assurda, poi, la situazione in cui Foscolo (In morte del fratello Giovanni) afferma di volersi immaginare, “seduto” a mo’ di acrobata su di un loculo verticale. Anche La spigolatrice di Sapri, di Mercantini, descrive uno scenario improbabile: innanzitutto perché sui terreni salmastri, vicino al mare, non ci poteva essere alcuna spigolatrice, visto che non è certo il contesto adatto per la coltivazione dei cereali; poi perché la stessa spigolatrice afferma di aver traguardato a Ponza una bandiera tricolore, quando l’isola dista 240 chilometri e il suo porto è pure nascosto dietro un’altura. L’analisi del Giuramento di Pontida è ancor più radicale: Berchet, infatti, dice di aver visto i cittadini di venti città, anche se è chiaro che le città fondatrici della Lega lombarda erano solo cinque; dice anche di averli visti stringersi la mano… ma come è immaginabile che ci siano state 40 miliardi di strette di mano? Gli esempi potrebbero continuare ancora: l’irriverenza di Piancastelli non si accontenta di “sezionare” e “smontare” altri grandi classici carducciani, leopardiani o foscoliani, e si spinge a “bacchettare” anche Manzoni, Pascoli e Montale. Alla fine, curiosamente, l’ostinata irriverenza dell’Autore può produrre nel lettore due effetti positivi e tra loro apparentemente opposti. Perché non c’è dubbio – da un lato – che questo volumetto contribuisca meritoriamente a scuotere l’albero tuttora pietrificato delle letture che generazioni di studenti sono stati costretti a sorbirsi. Un tale esercizio decostruttivo – però – lungi dallo stimolare un allontanamento dalla poesia ne indica una speciale via d’accesso, rivelandone in modo efficace il proverbiale straniamento: lo scollamento necessario, che le consente, per questo solo, di dire al meglio ciò che altrimenti potremmo soltanto registrare e descrivere.
Recensione (di Luca Sancini)
Le poesie “rilette” da Piancastelli: Ugo Foscolo, In morte del fratello Giovanni; Ugo Foscolo, Alla sera; Ugo Foscolo, A Zacinto; Ugo Foscolo, Dei sepolcri; Giosuè Carducci, Davanti a San Guido; Giosuè Carducci, Piemonte; Giosuè Carducci, Pianto antico; Giosuè Carducci, Il bove; Giosuè Carducci, La canzone di Legnano; Giosuè Carducci, San Martino; Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto; Eugenio Montale, Spesso il male di vivere; Eugenio Montale, Prima del viaggio; Giovanni Pascoli, La quercia caduta; Alessandro Manzoni, Marzo 1821; Alessandro Manzoni, Natale; Alessandro Manzoni, Il conte di Carmagnola (coro dell’atto II); Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio; Giacomo Leopardi, La quiete dopo la tempesta; Giacomo Leopardi, Alla luna; Giacomo Leopardi, L’infinito; Giovanni Berchet, Il giuramento di Pontida; Luigi Mercantini, La spigolatrice di Sapri.