Ribelli 5 stelle contro saggi PD! (da not.neroeditions.com)

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Schio, 1970. Una mattina di maggio Emilia Bettàle, giovane operaia tessile momentaneamente impiegata come domestica, scompare misteriosamente. Il maresciallo Piconese comincia le indagini, ma lo scenario si fa subito indecifrabile. Qualche giorno prima, infatti, c’è stato un furto in una chiesa di una piccola frazione montana: esiste forse un nesso? Sembrerebbe di no, anche perché il contesto in cui si muoveva Emilia è molto diverso. Il sospettato numero uno, infatti, è il suo fidanzato, Giorgio Chemello, che si è dato latitante. Ma i loro amici, Federica Smiderle, Marco Béber e Gildo Sperotto, non ci stanno; pensano che Emilia avesse scoperto qualcosa su strane manovre all’interno delle fabbriche locali e sull’esistenza di qualche cellula terroristica. Del resto proprio in quel periodo l’auto di un importante dirigente d’azienda era stata incendiata, con una rivendicazione fin troppo esplicita. Il fatto è che è sparito anche Rizzo, il socio pugliese di Giorgio, e che a complicare ulteriormente le cose c’è anche l’entrata in scena del vecio Penso, un ex partigiano che sembra saperla assai lunga su trame oscure e depistaggi. Lo stesso Piconese non sa come orientarsi, tanto più che si verificano altri due attentati incendiari, che calamitano anche l’attenzione dei nuclei speciali della polizia. Tuttavia il maresciallo, durante un breve periodo di ferie quasi forzate, incappa in alcune importanti scoperte e l’indagine conosce presto un’accelerazione, con susseguirsi di nuove vittime e colpi di scena, e con un epilogo nel quale nulla è scontato.

Anche in questo romanzo Matino sceglie l’ambientazione che gli è più congeniale, l’Alto Vicentino. Ma questa volta lascia i Cimbri e la loro cultura sullo sfondo, per concentrarsi sulle vicende dell’industria tessile scledense e di Alessandro Rossi, l’imprenditore che più ne ha condizionato lo sviluppo nel corso del XIX secolo, dando vita ad un esperimento socio-economico di rilevanza europea e plasmando di sé anche la struttura della città. Il giallo non è che un pretesto. Da un lato, certo, questa scelta consente all’Autore di continuare a coltivare un genere che gli ha dato successo e di ricollegarsi espressamente, per il tramite della figura del maresciallo Piconese, al precedente Tutto è notte nera. Dall’altro lato, la collocazione dell’intrigo nel clima del Sessantotto e del conflitto tra padroni e operai permette la rievocazione di – il raffronto con… – un’epopea pionieristica di pari e grandi trasformazioni. L’impressione, sul punto, è che Matino non intenda soltanto divulgare, ricostruendo una fase gloriosa dell’economia locale e nazionale, e dimostrando che anche la periferia della provincia è stata protagonista autentica della grande storia (pure nel lungo Dopoguerra della ricostruzione, del boom e della liberazione dei costumi: a quest’ultimo riguardo, alla lunga e utile bibliografia che l’Autore offre in appendice si potrebbe aggiungere l’originalissimo testo di Lorenzo Bortoli). Matino, avvalendosi come portavoce ideale di uno dei suoi personaggi, Marco Béber, vuole suggerire che lo studio del passato – e la sua riscoperta nei luoghi a noi più prossimi – può essere davvero lo spunto per fronteggiare e capire il presente.

Recensione (di Chiara Roverotto)

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Chi lo avrebbe mai detto? Esistono davvero “pulci da collezione”, piccoli esseri fastidiosi che possono farsi rimirare con piacere e addirittura apprezzare proprio per il puntuale tormento che provocano… Sono gli imperdibili libretti della nuova e simpatica collana “Pulci nell’Orecchio” di Orecchio Acerbo, editore specializzato nelle pubblicazioni per bambini e per ragazzi. Sono racconti, ciascuno opera di un grande maestro della letteratura mondiale; e ciascuno composto e illustrato con grande maestria (in questo caso, quella di Fabian Negrin): perché, al di là dell’iniziativa, in sé e per sé lodevole, anche il corpus, di dimensione tascabile, è di tutto rispetto. Il valore di questa edizione, comunque, sta tutto nella selezione degli Autori e degli scritti. Per ora sono sei: Matilde Serao (Catinuccia), William Saroyan (Lo zio del barbiere e la tigre che gli mangiò la testa), Heinrich Böll (La bilancia dei Balek), David Herbert Lawrence (Rex), René Guillot (Fratello lupo), Anton Cechov (Van’ka). Qui vorrei soltanto dire dell’estremo piacere che mi ha dato la lettura di Saroyan e di Böll, e delle ragioni, quindi, del dolce tormento che queste pulci mi hanno provocato.

Di Saroyan la collana propone una specie di favola moderna, che con grazia e semplicità assolute esprime quanto la vita comporti inesorabilmente sfide costanti, anche terribili, ma da affrontare con coraggio: un insegnamento che solo alcuni popoli, come quello armeno, hanno metabolizzato fino in fondo. Lo scrittore tedesco, invece, sulle orme del miglior Kleist e del suo Michael Kohlaas, narra di un attento e ostinato eroe bambino, che non si arresta di fronte al sopruso ripetutamente subito dalla sua famiglia, cercando di ottenere una giusta riparazione e risvegliando, così, anche la coscienza dei suoi poveri compaesani: fatti che gli sapranno meritare soltanto un grave destino di lutto e di esilio. Sono storie brevi, pulite, facili, e per questo non possono non piacere. Ma sono anche straordinariamente evocative e crudeli, quasi disperanti, e perciò sono fastidiose. È un carattere che accomuna anche gli altri titoli: Van’ka, su tutti, è di una proverbiale, dickensiana, tristezza; e Catinuccia non è da meno. Chi ha pensato a questa collana, in sostanza, ha pensato a quanto può essere efficace una pedagogia del disincanto, qui perseguita con la scelta elegante di exempla che, mentre suscitano un surplus di empatia, se non di colleganza, sono idonei ad abbattere con determinazione ogni ingenuità. Ai più piccoli consegnano semi che prima o poi frutteranno; agli adulti offrono un’occasione per prendere le cose “con letteratura” oltre che “con filosofia”.

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“Genocidio armeno? I filosofi hanno le mani sporche di sangue” (da ilgiornale.it)

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La bocca dell’inferno (da iltascabile.com)

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Just take my way that’s highway that’s the best (The Rolling Stones)

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