L’interrogativo che si pone questo saggio è semplice: siamo certi che il Socrate che conosciamo corrisponda davvero al Socrate realmente esistito? Platone e Senofonte ne hanno tramandato un’immagine che sembra costruita su misura: in tutto e per tutto adeguata al padre di un pensiero che avrebbe dovuto essere – come del resto è stato – programmaticamente anticonvenzionale. Dunque non poteva che incarnarsi in un uomo di umili origini, brutto d’aspetto e integralmente dedito alla ricerca e alla pratica di una vita fondata esclusivamente sulla saggezza. E destinato ad una morte iconica. Forse Socrate è stato anche questo, in effetti; ma forse così è stato solo da un certo momento della sua vita. L’Autore del libro, un classicista di stanza ad Oxford, prova infatti a rimescolare le carte, valorizzando fonti minori o tradizionalmente poco considerate. Il suo scopo – come recita il sottotitolo – è ritrovare la “giovinezza perduta del padre della filosofia occidentale”. Ne risulta il ritratto di un uomo proveniente da una famiglia benestante, cresciuto secondo i migliori dettami del suo tempo; di un soldato valoroso ed esperto, che anche perciò ha avuto la possibilità di frequentare l’élite intellettuale e politica, e che ha amato più donne (non solo l’antipatica Santippe). Anzi, Socrate avrebbe appreso la traiettoria cui orientare il suo magistero filosofico proprio da una misteriosa e affascinante figura femminile, Aspasia, cortigiana di crescente successo, poi diventata nientemeno che la consorte di Pericle.

Cherchez la femme, quindi? Qualcuno, a prima lettura, si è espresso anche così. Tuttavia non è vero che il testo si può ridurre a questa conclusione. Nell’interpretazione di alcuni passi – anche noti – del Simposio di Platone Armand D’Angour suggerisce percorsi interessanti, come quello che finisce per indicare in Aspasia la misteriosa Diotima di cui Socrate stesso narra nel corso dell’indimenticabile banchetto. Sono curiosi anche i brani in cui si racconta di alcune battaglie o quelli in cui si ricostruiscono i legami tra Socrate e alcuni esponenti della sofistica e della scuola di Elea. Un problema, però, sussiste. È quello tipico delle letture eminentemente congetturali, che in questo caso, purtroppo, non possono che essere tali e lasciare spazio a rappresentazioni tanto verosimili quanto lo sono quelle alternative. Certo, l’Autore è assai onesto: la sua ricostruzione della vita di Socrate è collocata nella postfazione, in carattere corsivo; giusto per segnare la distanza tra i tasselli raccolti lungo la strada e il loro assemblaggio, che non può essere supportato da altre prove. Ma anche quei tasselli sono di per sé scarni e l’argomentazione complessiva, non a caso, risulta ridondante e ripetitiva, e a tratti punteggiata da un tono un po’ troppo compiaciuto. Alla fine, pur di fronte a una ricerca stimolante, non si può che rivalutare la scanzonata, e spesso sottovalutata, sincerità di Luciano De Crescenzo, che, forse con minore scienza, ci ha già consegnato immagini e insegnamenti ben più efficaci.

Recensioni (di D. Abbiati; di P. Stothard; di T. Whitmarsh)

L’Autore presenta il suo libro

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L’inedito italiano di Hemingway (da rivistastudio.com)

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Andrés “Pibe” Rivarola è un giovane uomo che nella Buenos Aires dei primi anni Trenta sta cercando una propria strada e fatica a trovarla. Alle spalle ha già una serie di fallimenti e ora vive a pensione dall’antipatica doña Norma. Il Gorrión – suo amico – è in un brutto guaio: deve una bella somma di denaro ad alcuni trafficanti, da cui ha ricevuto a credito la droga che regolarmente vende a Bernabé Ferreyra, fenomenale goleador del River Plate. Il fatto è che il campione non paga più, perché ha abbandonato la città e se ne è tornato in campagna, alla casa materna, per spuntare dalla società un ingaggio più elevato. Andrés allora decide di attivarsi per provare a far tornare Bernabé, ma finisce in una curiosa carambola di incontri e di eventi imprevisti e pericolosi. Da un lato l’avventura gli dà l’occasione di frequentare la fascinosa Raquel Glazier, di cui è innamorato, apparentemente senza essere corrisposto. Dall’altro lato, però, si ritrova strumento di manovre che non riesce del tutto a comprendere. Di mezzo c’è anche la misteriosa morte di una bellissima ragazza, figlia di un eccentrico e decaduto esponente politico di destra. Il quale insiste di voler fare di tutto per la patria – come nel titolo del libro – e che con questo slogan, tuttavia, riprende sia un motto della Guardia Civil spagnola dell’epoca franchista, sia il nome di un movimento rivoluzionario di sinistra, che opererà soltanto cinquant’anni dopo: con questo simbolico anacronismo la satira dell’Autore si rivela definitiva. L’intricata vicenda, ad ogni modo, farà maturare Andrés ulteriormente e gli procurerà il tanto agognato posto di lavoro. Il romanzo termina con un “(continua)”, che fa pensare che, forse, potremo saggiare il Pibe in altre storie altrettanto improbabili e pittoresche. O forse no. Perché quella chiusa fa parte essa stessa del pastiche che l’Autore ha messo giocosamente in scena.

Tutto per la patria è una galleria variopinta di personaggi, molti anche reali, assemblati a bella posta per trasmettere un certo gusto. È reale il calciatore, Bernabé Ferreyra, detto La Fiera, un vero prodigio del gol. Sono reali anche Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Victoria Ocampo e Roberto Arlt: grandissimi protagonisti della scena letteraria del tempo, che non hanno bisogno di presentazioni. Sono tutti ritratti di striscio, però, con una felice intuizione parodistica. Gli eroi di Caparrós evidentemente non sono gli intellettuali. L’eroe è lo squattrinato Rivarola, il figlio di immigrati, che ha una costante fame di popolo, di strada, di vita. Per questo sogna di riportare il tango al suo ruolo di autentica e profonda voce della gente. Dunque di fargli dire la verità, missione non semplice in un paese che soffre dei tanti mali della tipica caricatura dello stato sudamericano: la politica costantemente attraversata da pulsioni radicalmente opposte; l’affarismo più basso elevato a chiavistello per l’apertura di tutte le porte; la polizia largamente e irrimediabilmente corrotta; e la stampa sempre impegnata a svolgere un ruolo teoricamente fondamentale e materialmente ipocrita. L’inizio del libro assomiglia un po’ all’inizio di Conversazione nella Cattedrale di Mario Vargas Losa: anche il Pibe, come Santiago Zavala, si chiede quando e come il suo paese si sia perso. Ma Caparrós non ambisce all’approfondimento quasi psicanalitico cui ricorre il maestro peruviano. Gli basta dimostrare che anche la farsa può condurre, con stile molto più umile, a risultati comparabili.

Recensione (di S. Tedeschi)

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Altre statue cadranno (da doppiozero.com)

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Viaggio nella letteratura (da quadernidaltritempi.eu)

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In seconda media avevo ricevuto in regalo Annibale, un libro che racconta la storia del grande generale cartaginese e ricostruisce le sue famose battaglie con le legioni romane. Ne ero rimasto affascinato e mi ero subito precipitato nella biblioteca comunale alla ricerca di altri libri scritti dallo stesso autore. È così che sono arrivato a Carlo Magno, il saggio che a Gianni Granzotto aveva meritato il premio Campiello. Anche quella è stata una lettura importante. Tanto che di seguito, dominato dall’improvvisa passione per il Medioevo e per la storia d’Europa, ho scoperto Henri Pirenne e Roberto Lopez, passando alcuni pomeriggi estivi che ricordo tuttora tra i momenti più felici e solidi della mia formazione. Carlo Magno mi è riemerso nella memoria qualche settimana fa e la tentazione di rileggerlo ha avuto la meglio. La sensazione è che sia tuttora un lavoro utile e suggestivo. Lo è, innanzitutto, perché continua a fornire un’introduzione piana e discorsiva alla storia del magnus rex e della sua affermazione: dai presupposti istituzionali maturati con l’ascesa del padre Pipino al trono di Francia alla vittoriosa campagna militare contro i Longobardi; dall’alleanza strategica con Papa Adriano alle ripetute e spietate guerre contro i Sassoni; dalle altalenanti e critiche relazioni diplomatiche con Bisanzio e la sua imperatrice Irene all’incoronazione solenne di Roma. Granzotto, però, fa anche molto di più.

In primo luogo, riesce a fornirci un diario di viaggio, compiuto nei luoghi e nei caratteri dei protagonisti che li hanno resi celebri. È una divulgazione storica per immersione, che con un registro familiare e un ricorso frequente all’aforisma invita il lettore a trarre dal racconto le sollecitazioni utili per un aggiuntivo apprendistato morale: historia magistra vitae, sosteneva Cicerone; così è anche per Granzotto. Nel contempo, però, Carlo Magno illustra con particolare efficacia anche la sostanza culturale della originale cornice geopolitica, dichiaratamente multipolare, che ha dato vita all’unione giuridico-amministrativa più longeva del continente. E questo, del libro, è lo spunto di più stringente attualità. Negli ultimi mesi, infatti, c’è chi ha sostenuto che l’Unione europea possa vivere oggi il suo momento hamiltoniano: si è tracciato, cioè, un parallelo molto affascinante tra i delicati e dibattuti processi di condivisione del debito avvenuti alla fine del XVIII secolo tra gli allora neonati Stati Uniti d’America e le decisioni recentemente assunte dalle istituzioni europee sul finanziamento del debito necessario a fronteggiare l’emergenza coronavirus. È un’ipotesi che va approfondita. Ciò che è senz’altro rilevante è l’insegnamento che si può trarre, comparativamente, dallo studio del diverso momento carolingio. Che non consiste nella (troppo) facile battuta per cui un momento di quel genere ci può essere soltanto se c’è chi lo sa qualificare: oggi, se manca un Carlo Magno, manca di sicuro anche un Hamilton. Il fatto è che affinché qualcuno possa interpretare un certo ruolo occorre che vi siano delle convergenze di carattere politico, istituzionale ed economico: occorre, cioè, che più forze convergano verso un comune risultato utile. È questo il tassello mancante. Ed è quella che Granzotto, nello stile che gli appartiene, e che in parte si avvicina ad una nota lezione di Machiavelli, definisce in conclusione come fortuna; ma che fortuna, in senso proprio, non è mai.

Carlo Magno secondo Barbero

Carlo Magno secondo Angela

Carlo Magno era tedesco o francese?

Gianni Granzotto e il Premio estense

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Horace’s How-To (da nybooks.com)

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