Nell’Italia del 1938 Alfredo Liguori è un importante dirigente della più grande compagnia italiana di assicurazioni. Dopo un convegno al Lido di Venezia, si lascia incuriosire da un suggerimento del suo principale e, prima di rientrare a Milano, decide di fermarsi in laguna ancora una sera, per sperimentare il piacere di cenare in una certa trattoria. Viene presto avviluppato da un’atmosfera particolare, tanto da restare di fatto catturato dall’isola, dove – indotto da uno strano personaggio – passa di locale in locale, fino a quando conosce la misteriosa Lina. Il tempo passa e Liguori rimane a Venezia, dimentico della sua stessa famiglia: comincia a convivere con Lina, con cui intesse una relazione sinceramente appassionata. Ne conosce l’ambiente, venendo a contatto con le storie e i sogni di un popolo povero e semplice, e familiarizza con Mino, un socialista senz’altro inviso al regime, che contribuisce a trasformare “tutto il suo modo di vedere il mondo”. All’improvviso, però, scosso dalle ricerche ufficiali che la moglie ha stimolato, Alfredo si vede costretto, a malincuore, a tornare a casa, a porre fine a questa parentesi quasi fiabesca e a recuperare i ritmi quotidiani del lavoro d’ufficio. Ma nulla è come prima, l’aplomb di sempre è compromesso. Tanto più quando il Paese entra in guerra: mentre i tragici destini del conflitto cominciano a farsi intuire, Alfredo matura un antifascismo istintivo. Il ricordo della sua strana avventura veneziana e delle emozioni elementari allora vissute funge da fondamentale elemento catalizzatore: dell’idea di collaborare segretamente con i partigiani, ma soprattutto, una volta catturato, della decisione di sacrificarsi eroicamente.
La storia della scomparsa dello strano personaggio di questo romanzo si è rivelata – come per uno scherzo di un qualche destino – una bella scoperta, fatta sul banco di un rivenditore ambulante di libri vecchi. Il fortunato ritrovamento, innanzitutto, è Mario Bonfantini, ricordato e celebrato di recente dall’Università di Torino (partigiano, professore di letteratura francese, sceneggiatore e amico di Mario Soldati, scrittore…), ma da tempo uscito dai radar dell’editoria italiana. Ed è un vero peccato, perché mentre la scomparsa del protagonista di questo romanzo traccia una traiettoria originale nei percorsi letterari di costruzione della coscienza politica nazionale, l’oblio sull’Autore ha privato il grande pubblico della pacata raffinatezza di un passo stilistico tanto démodé e apparentemente semplice quanto sincero e profondamente articolato. La linearità, infatti, è solo di facciata. Ci troviamo di fronte al montaggio, astutissimo, di due prospettive già saggiate in altri due libri ben più noti, e precedenti rispetto a Scomparso a Venezia: La danza delle acque di Antonio Russello e Il generale Della Rovere di Indro Montanelli. Anche l’impiegato di banca di cui racconta Russello si perde a Venezia per acquistare un nuovo punto di vista. Anche il faccendiere di Montanelli si ritrova come uomo nel momento del coraggio più impensato. Il differenziale, pregevole, della versione di Bonfantini – per la quale egli stesso ricorre ad una parola oggi quasi rovente: “populista” – sta nella saldatura quasi svagata, ma molto naturale, delle due esperienze e nel programmatico e attento ripudio di intellettualismi e canoni potenzialmente retorici.