I motivi per procurarsi quanto prima questo piccolo libro di poesie sono tanti. Una buona sintesi sta nel messaggio (absit iniuria verbis) che l’Autore finisce per veicolare. Potrebbe suonare pressappoco così: a essere davvero seri, nella vita, bisogna non prendersi troppo sul serio. Sicché di messaggio (in effetti) non si dovrebbe discutere; si farebbe troppo torto a un Autore tanto cosciente quanto disincantato. Perché la saggezza di Pistolesi (il titolo coincide proprio con il concetto o, meglio, con l’approccio, e in fin dei conti ci si accorge veramente che non c’è – mai – differenza…) si risolve di per sé in un verso guizzante, divertito e divertente, spinto da un realismo ironico e autoironico. Che, però, non si lascia disorientare da alcunché e fila dritto al punto, anche quando pare smontarsi da solo. E che non ha neppure timori reverenziali; né paura di affermare, spietato, quello che conta, in modo efficace, se non assoluto. Lo preannuncia la (bellissima) citazione di Fortini, in apertura: “se continuiamo a non volere la verità / sarà terribile la nostra vita. / È bene che lo sappiamo una volta per sempre”.

Onestà estrema, innanzitutto, e specialmente verso se stesso. Può trattarsi di una sconsolata e preliminare constatazione, o negazione, politico-esistenziale, a mo’ di sintomatico proemio; delle reiterate difficoltà, e degli imbarazzi, di un amore tormentato e finito; della raffigurazione della paternità più iconica o del rapporto, e del sentimento, padre-figlio; della nostalgia per l’adolescenza che è stata; degli inganni temibili della solitudine; di una vera, e affatto timida, dichiarazione di poetica; o, meglio ancora, di una altrettanto vera, e autentica, scelta di vita e, dunque, di poesia. In quest’ultimo senso, mai quest’Autore pare soggettivamente a disagio. O meglio: mai risulta ordinariamente a suo agio, cosa che gli permette, liricamente, di orizzontarsi benissimo, navigando leggero, forte di una tradizione assimilata assai profondamente e di un ruolo che non ha alcuna sociale rilevanza, e che per ciò solo è il ruolo, poetico all’essenza, cui meglio può ambire, sereno. Non c’è dubbio alcuno: per dirla alla Aldo Nove (occorrerà tornarci presto), Pistolesi si è inabissato, lo ha fatto benissimo, e pure allegramente e, per questo, meno misteriosamente di quanto lasci intendere la lezione originaria. Lasciamoci contagiare, quindi; diventiamo saggi, anche solo per qualche ora.

Una selezione di testi e la Postfazione di G. Policastro (da leparoleelecose.it)



A mio padre dopo l’ennesimo tentativo di inventarci una confidenza

Onore a noi, dopotutto, che comunque

ci abbiamo provato, a fare questa cosa di parlare

l’uno con l’altro, sopra un aperitivo fuori tempo massimo

trovare parole che colmino un silenzio

lungo vent’anni, anzi ventiquattro, venticinque

quasi (sono vecchio, sono

vecchio!) – eppure esiste, la foto

in analogico da un’altra casa, da un’altra

vita, ci siamo noi due nella vasca

insieme, ridiamo, siamo

un padre e un figlio.



La saggezza (esercizi)

Mettere da parte questa lingua

impararne altre. Cominciare a nuotare, cucinare

più spesso. Dormire al pomeriggio

lavorare. Scrivere di cose sane

e quando il pensiero stringe e si fa terribile

cadere come corpo morto cade.



Se mai (poesia per B.)

Se mai dimenticheremo, nel grande gioco della normalizzazione e dell’età adulta,

lo schianto incredibile la collisione assurda 

che sono due persone quando s’incontrano, allora

buttateci pure via portateci dallo sfasciacarrozze, perché davvero non serviremo più a niente.

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