Marco Carrera, oftalmologo, è il colibrì. Lo hanno chiamato così durante l’infanzia, perché il suo fisico sembrava destinato a rimanere un po’ più piccolo di quello dei suoi coetanei. Poi è improvvisamente cresciuto, forse anche grazie a una cura sperimentale che il padre ingegnere ha tanto voluto e che la madre architetto, invece, guardava con indifferenza. La vita di Marco, da lui stesso ripercorsa, tra Roma, Firenze e Bolgheri, è stata ricca di eventi, che nel racconto si svelano gradualmente, in un ordine che non sempre è quello cronologico: il matrimonio con Marina, tutto sommato casuale, ma fallito all’improvviso a distanza di tanti anni; uno scampato incidente aereo, dal quale si è salvato per la forza indicibile di un amico iettatore; l’amore per Luisa, ripetutamente cercato, mai realizzato; un debole precoce per il gioco d’azzardo, coltivato con grande fortuna e riscoperto anche in età matura; il suicidio della sorella Irene, tanto temuto e poi, di colpo, effettivamente arrivato; la rottura col fratello Giacomo, anch’egli innamorato di Luisa; il rapporto con i genitori, Probo e Letizia, entrambi gravemente malati e assistiti fino alla morte; lo stretto legame con la figlia Adele, che però scompare prematuramente durante una scalata, e con la nipotina Mirajin, che offre al colibrì un punto di riferimento certo, per ciò che è accaduto e per ciò che accadrà, fino al termine dei suoi giorni. I fili che legano il racconto – altrimenti ondivago – sono il rapporto di complicità tra Marco e il dottor Carradori, che da psicanalista della moglie diventa confidente e amico; le lettere di riconciliazione che il colibrì spedisce a Giacomo, senza ricevere mai risposta; lo scambio epistolare con Luisa, frutto stagionale di una relazione esclusivamente cerebrale. È proprio Luisa, in una lettera, che prova a intuire il segreto di Marco, annunciato scopertamente, in realtà, sin dalla quarta di copertina del libro: tutta la sua energia, tutta la sua vita, tutto il suo continuo sbatter d’ali sono stati dedicati a “restare fermo”, a perseguire e difendere un’invariabile equilibrio esistenziale.
Di questo romanzo si discute da più parti in termini entusiastici. Per alcuni è il libro dell’anno. C’è chi intravede nella storia di Marco Carrera una riedizione della (dis)avventura biblica di Giobbe, nel senso della resistenza di chi affronta naturalmente il proprio destino. C’è chi ne premia la capacità di esprimere, anche criticamente, una rappresentazione efficace della borghesia italiana e del suo egoismo improduttivo. C’è, poi, chi loda lo stile, perché la scorrevolezza si accompagna a una particolare versatilità espressiva, che comunica l’effetto di un’evidente facilità di composizione. Quest’ultima è la valutazione che si può senz’altro condividere. La verità, infatti, è che Il colibrì è una riuscitissima prova di scrittura, confezionata in un intreccio plurale e complessivamente ammiccante. Se ci si aspetta la storia familiare, la si trova; se si vuole la storia d’amore, ce n’è più di una; se ci si concentra sul romanzo di formazione, se ne resta soddisfatti (addirittura nel senso quasi ironico della formazione continua…); se si ricerca il ritmo della commedia italiana più tradizionale, lo si può avvertire distintamente (vi si avvertono, simultaneamente, gli sguardi agrodolci di Dino Risi, Pupi Avati e Paolo Virzì); se si spera di incrociare qualche spunto intellettualmente sofisticato, lo si può incontrare (compiacendosi, ad esempio, delle citazioni di Manganelli e Prampolini), come ci si può imbattere anche in notevoli frasi ad effetto (“I lupi non uccidono i cervi sfortunati. […] Uccidono quelli deboli”). Infine, non mancano i riferimenti – rigorosamente politically correct – alla grande e più spinosa attualità (dall’eutanasia all’accoglienza delle diversità). Il colibrì, in definitiva, è un romanzo-specchio, nel quale ogni lettore ha un’apprezzabile possibilità di trovare una testa di ponte per un proprio punto di interesse, e di farlo con piacere e senza alcuna fatica. Ecco che cosa ha confezionato Veronesi: un accessibilissimo e godibilissimo capo prêt-à-porter.
Recensioni (di Valentina Berengo; di Francesco Longo; di Daniela Matronola; di Alessandro Piperno; di Christian Raimo; di Gian Paolo Serino)
Sorry, the comment form is closed at this time.