La signora Janina vive sola in una piccola casa di un villaggio di montagna, non lontano da Kłodzko, al confine tra Polonia e Repubblica Ceca. Ha qualche acciacco, ma è comunque molto attiva. È appassionata di astrologia. D’inverno sorveglia e custodisce alcune abitazioni, utilizzate come seconde case. Insegna anche un po’ di inglese in una scuola vicina e di sera aiuta un suo vecchio alunno, Dyzio, a tradurre alcuni versi di William Blake. Lo scenario può sembrare quieto, e rasserenato, tanto più, dalla costante presenza della Natura. Tuttavia la storia comincia con un evento tragico: il rinvenimento di un cadavere, quello di un vicino di Janina, da lei chiamato Piede Grande. Di lì a poco tocca anche al Comandante della polizia locale, trovato morto in un pozzo. Per quanto Janina cerchi di convincere gli inquirenti che sono stati gli animali i veri autori dei delitti – si sarebbero vendicati delle violenze commesse dai deceduti – le indagini non riescono a condurre ad alcun risultato. Intanto, mentre le stagioni si accavallano, altre persone muoiono ancora, misteriosamente. E Janina – che nel frattempo vive pure un’inattesa avventura… – diventa la prima sospettata. Le vittime, infatti, erano tutte cacciatori, una categoria contro cui proprio la stessa protagonista, che a tutti pare sempre più eccentrica, comincia ad assumere clamorosi e pubblici atteggiamenti ostili. È il perfetto capro espiatorio di una comunità interamente corrotta? O c’è qualcosa di più complicato da scoprire?

Questo romanzo – uno di quelli più famosi della scrittrice vincitrice del Nobel 2018 – si presta a molteplici letture. Lo si può considerare, a suo modo, un manifesto delle concezioni animaliste, che pure, tuttavia, sono portate all’estremo. Tanto che si può immaginare che, almeno in parte, l’Autrice abbia voluto giocare su due piani, mettendo in scena una parabola simile a quella che potrebbe suggerire la nota vicenda di Unabomber. Anche se il finale è diverso, visto che (senza anticipare nulla…) c’è qualcuno che si prende carico, e positivamente, del destino personale della signora Janina. Perché è personaggio che non può non suscitare empatia (non la vedremmo male a prendere un tè con la portinaia de L’eleganza del riccio). In fondo è dura comprendere da che parte stia Tokarczuk. Tanto più che, a rovesciare ulteriormente la prospettiva, è il titolo stesso del libro. “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti”, infatti, è un verso di Blake. È dato senz’altro coerente con qualcosa di cui si racconta nel testo. Però è indubitabile che esso allude direttamente alla grande pericolosità delle determinazioni che si alimentano ai pensieri più profondi… e dunque alla vertigine che questi possono produrre quando diventano ossessioni. E ciò anche quando portano alla luce le contraddizioni e la povertà di molte istituzioni sociali. Il punto è che con i romanzi di questa abilissima narratrice ci si deve semplicemente liberare di ogni ricerca soggettiva di senso. L’Autrice ci conduce, parola per parola, nella sfida irriducibile della realtà e dell’esistenza, che possono insegnarci qualcosa soltanto se abbracciate in tutta la loro complessità.

Recensioni (di S. Ciavolella; di G. Maurovich; di M. Piccone)

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