Premetto che Manzoni mi è sempre risultato profondamente enigmatico. Ciò è dipeso dal fatto che, sin dalle prime ore di letteratura italiana ai tempi del liceo, la sua immagine riusciva distorta, sfocata, forse appesantita dall’aura del grande autore a tutto tondo: perché poeta, romanziere, studioso della lingua e, in definitiva, nume tutelare di una parte importante della costruzione dell’identità nazionale. Un profilo, dunque, pesante. Non che non mi paresse grande. Tendevo a non considerarlo tale, semplicemente, per ciò che di lui veniva proposto a scuola. Trovavo noiose le tanto celebrate poesie civili. Sentivo come ancor più noiosi i brani scelti dell’Adelchi o del Conte di Carmagnola. Stancante a dir poco era anche la lettura, “glossata” nel più minimo dettaglio, dei Promessi sposi. L’importanza di Manzoni, invece, quella che ai miei occhi emergeva come autentica originalità, oltre che come prezioso giacimento culturale, la comprendevo pienamente nella Storia della Colonna infame. La ritenevo – e continuo a ritenerla – una specie di punto d’arrivo di tutto l’itinerario di pensiero di questo scrittore. Manzoni per lungo tempo è stato animato da forti passioni, talvolta contraddittorie, fino ad un momento, che non a caso affiora pubblicamente con l’edizione “quarantana” del famoso romanzo, nella cui appendice compare per la prima volta proprio la Storia della Colonna infame. In quel caso il Manzoni-autore si va definitivamente stabilizzando, in una congiunzione quasi perfetta di risoluta secessione poetica e incrollabile coscienza morale. Al principio di questa congiunzione, però, vi è un percorso personale molto sofferto e drammatico. Un modo particolare per acquisire – e rafforzare – una tale consapevolezza è un sofisticatissimo libro di Mario Pomilio, Il Natale del 1833, vincitore a suo tempo (nel 1983) del Premio Strega. È un romanzo-saggio (difficile definirne il genere fino in fondo), che va riscoperto e riletto con la pazienza e la fiducia che si devono ai piccoli tesori.

In questo testo Pomilio compie un esercizio suggestivo di interpretazione immersiva, allo scopo di ricostruire i travagli e i pensieri di Manzoni, vissuti a causa della dolorosa perdita della moglie. Enrichetta Blondel, infatti, è morta alla vigilia del Natale del 1833. Nel testo, elegante e ricercato anche nello stile, Pomilio inventa moltissimo. Tanto che si cala pure nei panni della madre di Manzoni, Giulia Beccaria, di cui produce alcune lettere, nelle quali emerge tutto il tormento religioso che la “sventura” origina in Alessandro e che gli impedisce di portare a termine Il Natale del 1833, una poesia concepita proprio all’indomani del decesso. È in chiusura a quegli sparuti e incompiuti versi che si trova l’espressione cecidere manus, quasi a confessare l’impossibilità di continuare ad essere poeta. Nel giro di poco tempo, peraltro, lo scrittore perde anche due figlie. Pomilio, allora, raffigura Manzoni – che la madre sa essere abituato a una terribile consuetudine con Dio – chiuso e muto nella sua enorme sofferenza, alla ricerca instancabile di una qualche superiore o provvidenziale ragione per quanto accaduto. Dapprima Manzoni è rievocato come inutilmente impegnato nella stesura di un’opera dedicata a Giobbe, perché forse il personaggio biblico può incarnare il campione della spiegazione religiosa di cui il suo animo prostrato ha bisogno. Quindi lo si vede affaticato in un’altra stesura della Storia della Colonna infame, perché in quelle carte si ricorda che degli innocenti, accusati ingiustamente di essere untori, sono stati travolti e  che dunque anche in quell’occasione Dio è parso tanto assente quanto terribile. Proprio qui Manzoni – che non si abbandona ad accusare Dio, né ascolta i consigli di chi gli rammenta che non compete a uno scrittore trovare un significato universale alle vicende della storia – arriva al suo approdo: “la storia delle vittime è di per sé la storia di Dio”, perché “la croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno, e il dolore di ciascuno è la croce di Dio”. Si apre, così, nella riproposizione di una vicenda storica tragica e apparentemente inspiegabile – e nel simultaneo concepimento di una cornice di soverchiante e universale sofferenza religiosa – l’adesione ad un criterio di verità che non può che essere esistenziale e totalizzante.

Due libri recenti e interessanti… sul Manzoni nevrotico e sulle sue due mogli

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