Tra gennaio e febbraio dell’80 a.C., nella Roma di Lucio Cornelio Silla dictator, si intrecciano due diverse avventure: una ha per protagonista un centurione, Tito Annio Tuscolano, scortato dai suoi fidi compagni, Astragalo e Gabello; l’altra vede impegnato Marco Tullio Cicerone, al tempo ancora poco noto, nel suo primo importante processo penale. Tito Annio è stato ingaggiato dal potentissimo Marco Licinio Crasso e deve scoprire dove si rifugia Mezzo Asse, noto gestore di lupanari e unico superstite di una sanguinosa strage, nella quale ha trovato la morte anche un ricco e potente commerciante di tessuti, Marco Villio Cincio. Cicerone, invece, è stato contattato da Cecilia Metella Balearica Maggiore, influente e rispettata ex vestale, che vuole assicurare una difesa a Sesto Roscio, un imprenditore agricolo accusato dai cugini di aver ucciso il proprio padre. La materia su cui si intrecciano i due intrighi è rovente. I parenti di Cincio sono pronti a tutto, pur di vendicarlo. Soprattutto, Cincio, che era in stretto collegamento con il vittorioso ed emergente Pompeo, sarebbe diventato presto senatore. Qualcuno, forse, lo voleva morto? Non meno difficile è la situazione in cui si trova Cicerone: come mai i principi del foro hanno rifiutato di assistere Sesto Roscio? Perché ad affiancare il giovane oratore si presentano anche tre focosi e ambiziosi rampolli di famiglie notoriamente avverse allo strapotere di Silla? Mentre Tito Annio e i suoi compagni, tra risse, grandi bevute e lunghi inseguimenti, sono alla caccia di Mezzo Asse, Cicerone prepara meticolosamente il processo, maturando rapidamente la convinzione, pur riuscendo vittorioso, di essere egli stesso al centro di un inganno quanto mai torbido. È l’idea che, alla fine, si farà tragicamente anche Tito Annio, quando le due storie si uniranno, portando alla luce i collegamenti tra i delitti e la matrice cinicamente affaristica che li lega a Crisogono, spregiudicato e intoccabile protetto di Silla.

Romanzo storico e thriller allo stesso tempo, Il diritto dei lupi è una piacevole opera prima, che si legge con un certo trasporto, risultando perfettamente adatta allo svago da ombrellone. La lunghezza (si tratta di più di 700 pagine…) potrebbe spaventare – e non c’è dubbio che, forse, qualche passaggio è un po’ troppo prolisso – ma la scrittura è briosa ed efficace. Riesce suggestiva, inoltre, l’idea di trarre spunto da una reale vicenda processuale, quella di cui reca traccia la Pro Sexto Roscio Amerino, autentica orazione ciceroniana, che vien voglia di leggere integralmente. È come se gli Autori avessero voluto ricostruire il cantiere di quel testo, immaginando i timori, le ambizioni e anche le debolezze di un giovane, promettente avvocato, colto e intelligente, eppure ancora ingenuo, combattuto tra le virtù pratiche dei sofismi e la ricerca della verità. Sullo sfondo, poi, c’è la vitalità complessa di Roma antica, ricostruita e vissuta attraverso le gesta di Tito Annio, Astragalo e Gabello, e rappresentata molto bene nel contrasto tra il suo essere epicentro e modello etico, culturale e istituzionale, e la sua vocazione, anch’essa eterna, e purtroppo attualissima, a costituire il “mondo di mezzo” per eccellenza. Come a ricordarci, in sostanza, che tra le profondità oscure della Suburra e le ambizioni che si coltivano attorno ai palazzi del potere c’è sempre stata più di qualche comunicazione. L’ultimo dato positivo di questo romanzo è la figura stessa di Tito Annio, l’ex legionario di lunghe e dure campagne belliche, senza paura, in parte rozzo e in parte addomesticato, ma in ogni caso irriducibile, integro e a tratti quasi romantico. In poche parole, è il perfetto protagonista per ulteriori, auspicabili scorribande letterarie.

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