Ho seguito un suggerimento, per me molto qualificato, e ho dato, così, una seconda possibilità all’Autore del fortunato Le dodici domande, il bestseller da cui Danny Boyle ha tratto, pressoché istantaneamente, l’ancor più fortunato The Millionaire. È sempre difficile dare ad uno scrittore una seconda possibilità: specialmente quando la prima si è tradotta in un’esperienza positiva e soddisfacente ma senza particolari esaltazioni. Qui, poi, si partiva ulteriormente “in salita”: i “sei sospetti” è un titolo che, dopo le “dodici domande”, rischia di nascondere i “tre porcellini”… Per non dire della mole, che, a dispetto del “dimagrimento” suggerito dal titolo, è quasi esattamente doppia rispetto a quella del precedente romanzo: 533 pagine nette. Il libro, dunque, che in Italia è arrivato nel 2009, l’avevo volutamente saltato. E invece…
E invece i pregiudizi sono sempre duri a morire, ed è giusto, quindi, che vengano impietosamente smentiti. I sei sospetti è, ancora, “un’esperienza positiva e soddisfacente”, e Swarup si conferma un divertito interprete delle più disparate pulsazioni della società indiana. Anche la mia fonte, così, vede ulteriormente rafforzata, ai miei occhi, la sua credibilità.
Diversamente da quanto ci si potrebbe attendere, I sei sospetti non è un giallo e non è un thriller. Nella consueta pagina dei Ringraziamenti, Swarup dice di aver voluto raccontare “le storie intrecciate di sei esistenze separate in uno spazio rigidamente schematico”. A me sembra che si tratti una comédie humaine – più alla Saroyan che alla Balzac – occasionalmente esplosa attorno ad un grasso fatto, tutto immaginario ma per nulla inverosimile, di cronaca nera, nel quale, per le circostanze più varie, sono sospettati sei individui. Questi, in teoria, per provenienze, ceto, cultura, professione, riferimenti ideali e religiosi, mai avrebbero dovuto incontrarsi; e invece la sordida identità della vittima dell’omicidio di cui sono accusati finisce curiosamente per attirarli come un magnete e per sovrapporne gradualmente le sorti.
I profili dei sei personaggi sono, a loro volta, sei diversi e piccoli romanzi. I “tipi” di cui essi narrano incarnano modelli molto “potenti” ed efficaci: il burocrate laido e corrotto, la diva del cinema alla ricerca della redenzione personale, il giovane aborigeno come perfetto “pesce fuor d’acqua”, il ladruncolo speranzoso del grande amore e del successo, il politico “mafioso” e senza scrupoli, il turista americano dallo sguardo bovino. Queste figure costituiscono il luogo di una satira feroce nei confronti di un corpo sociale in cui tutto, davvero, è possibile, anche se le più nobili aspirazioni paiono vocate alla dimensione ingannevole di miti oggi inadeguati (v. la possessione di Mohan Kumar), di innocenti e flebili speranze primitive (come sono quelle del povero Eketi), di ingenue e terribili consapevolezze capaci di “non bucare” mai il muro dei sogni (v. il rapimento di Larry da parte di una cellula terroristica). Sono il compromesso, la degradazione morale e culturale, un fato di intrinseca sudditanza e povertà ad avere la meglio, posti come sono su di uno sgargiante palcoscenico di sfrenato consumismo, ambizione, violenza e fobie collettive.
L’epilogo, però, non è atteso. Se tutte queste storie potrebbero anche non accadere, allora anche la scoperta del vero colpevole deve essere complessa. Nulla più è lecito aggiungere… se non che, nel finale, Swarup dimostra di aver metabolizzato un certo Paul Auster e che, se ci si vuole divertire anche al termine della lettura, è sufficiente sostituire Vicky Rai con qualche noto volto italiano, scuotere il vaso di Pandora ed abbandonarsi a trame altrettanto in-credibili.
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