Accade che l’editoria riesca a compiere strane operazioni. Accade, cioè, che in un piccolissimo libro si possa confezionare la grande letteratura con le vesti pur sempre ambigue del richiamo da cassetta. Perché nel mercato editoriale non c’è nulla di strano se, dopo il riconoscimento dell’Oscar a Paolo Sorrentino per La grande bellezza, si arriva a stampare in grande velocità una raccoltina intitolata La bellezza di Roma, nella quale ordinare sei brevissimi pezzi (già pubblicati) di Raffaele La Capria, il grande scrittore, da poco novantenne, cui la fortunata pellicola pare essersi direttamente o indirettamente ispirata. Ciò che è straordinario, però, è che in queste brevi prose ci sono almeno due perle, quelle che aprono il volume, e il cui livello compensa certamente la sofferenza di dovervi accedere soltanto superando il disgusto per una copertina che più ammiccante non si può. Due perle – in forma di pedagogico ammaestramento borghese: Lamento su Roma (1975) e I consigli di papà (2009) – per un ritratto immaginifico e mordace degli aspetti che sembrano sempre e davvero eterni nella Capitale: della Direzione Generale della Democrazia Formale che in essa si compie; del trionfo anodino della casta amministrativa, la tribù dei Buro-Buro, e di tutti coloro che vi si impiegano e (quindi) vi si id-Enti-ficano; della Teoria del Fine Secondario, secondo cui nessun’altra giustificazione può darsi per cotanto apparato se non il suo stesso finanziamento.
Il posto alla Rai (2009) sviluppa queste sollecitazioni in corpore vili ed è il ritratto autobiografico dell’esperienza kafkiana di colui che arriva a Roma e si impiega, seguendo la regola ferrea per cui “il posto è di chi lo occupa”. In effetti, ne Un albergo a vita (1993), La Capria si produce anche in una lunga intervista, in cui narra del suo trasferimento, trentenne, da Napoli alla Capitale, in cerca, per l’appunto, di un posto; e in cui, tuttavia, si misura lo scarto tra la vitalità culturale della Roma de “Il Mondo” di Pannunzio e della Via Veneto dei registi e degli intellettuali, da un lato, e la Kaputt Mundi di oggi, dall’altro. La cosa che infastidisce di più lo scrittore è lo stato di abbandono di molti dei luoghi più belli della città monumentale: Una modesta proposta (1981) registra questo sdegno e formula qualche piccola idea a qualsiasi amministratore locale. Eppure Roma risplende, irresistibile, sotto il cielo terso delle sue mattine migliori, anche nelle vie di un centro storico offeso dal passare del tempo e privato della sua più giusta memoria, “dove tutto ti ricorda il gran disordine che governa il mondo”). La Capria ne avverte il fascino nelle passeggiate mattutine con la sua bassottina (A passeggio con Clementina, 2011). È tutto un susseguirsi di scorci barocchi, di “aeree architetture”, di inimitabili e persistenti suggestioni spaziali; a patto, certo, di assumere la prospettiva della vitalissima Clementina, di lasciarsi guidare dalle sue “possibilità percettive”. Sta qui, in fondo, la bellezza di Roma. Di fronte all’abbandono (delle cose) non c’è che l’abbandono (all’intuizione e alla contemplazione).
Recensioni (da ilfoglio.it, iltempo.it, corriere.it, wuz.it, politicamentecorretto.com)
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