Capita a tutti di ricevere libri in regalo. Per chi legge molto, questo genere di letture può destare l’idea di un incosciente tempismo: la tentazione di rompere le gerarchie meticolosamente imposte alle diverse pile sul comodino si fa forte, tanto da aprire un piccolo spiraglio per un’avventura impensata e per il ribaltamento di altri e ben più intimi ordini. Non accade sempre, ma talvolta è così: anche un volume imprevisto può rispondere ai bisogni di un certo momento. Così è stato per Poco meno di Dio, che, se non fosse per l’aura che ancora circonda il nome del piccolo editore che lo ha licenziato, può rischiare di apparire come un perfetto esemplare dell’ambizione – il più delle volte sbagliata – che rode tanti aspiranti scrittori. Non che il libro difetti di alcune classiche mancanze (si perdoni il gioco di parole, ma questo può essere un buon modo per alludere elegantemente ai soliti fattacci di refusi, spezzoni sovrabbondanti, eccessi biografici…); il punto è che tutti abbiamo bisogno, qua e là, di qualche facile parabola per immaginarci nei panni del protagonista e godere dell’illusione di una chance corroborante. Quello che conta, in questo romanzo, non è lo spaccato – certamente godibile e verosimile, come frutto privilegiato della scienza privata dell’Autore – della quotidianità della vita di corsia e dei rapporti umani e professionali negli ospedali e nella piccola e media borghesia del Nordest. La cosa buona è la favola.
Mauro Alberti è un chirurgo quarantenne di un ospedale di provincia. Si è falsamente convinto di aver perso la brillantezza e la motivazione che lo avevano lanciato come talento precoce. Ormai pensa di doversi adattare alla situazione, in un clima che sembra premiare soltanto cinismo e arrivismo. Una vacanza senza meta, tra i monti dell’Appennino, lo porta in un paese un po’ isolato, e lì succede qualcosa che a Mauro cambia la vita, grazie all’intervento (tecnicamente) provvidenziale di una donna semplice e concreta. Non se ne accorge subito, però; per rendersene conto deve sperimentare tutte le tentazioni dell’improvviso successo che lo travolge al rientro e che lo porta vicino ai tanti giri – e ai tanti piccoli e grandi intrallazzi – degli alti papaveri della sanità e dell’accademia. È un po’ come se il Diavolo cercasse di ghermirlo nel modo più subdolo: non a caso, come nel bel racconto di Cazotte (a proposito: da leggere e rileggere…), la figura seducente e maledetta prende le forme di un altra donna, la giovane e spregiudicata Giolisa, la cui conquista assume sia il valore di una simbolica revanche, sia la possibilità di imboccare pericolosamente una direzione assai rischiosa. Pure la ex moglie, rivistolo nei panni del vincitore, torna a farsi sotto. Tuttavia Mauro, colpito dalle miserie che un lutto improvviso gli para di fronte, torna sui suoi passi e si avvantaggia della posizione raggiunta fino a quel momento per assecondare con serena decisione il futuro appagante che qualcosa gli aveva fatto intuire nella lontana e indimenticata pausa appenninica.