Javier Marías è autore di grandi romanzi (in proposito bisogna dire – ne approfitto – che Nella schiena del tempo e Il secolo sono molto migliori de Gli innamoramenti e, forse, anche del celebrato Berta Isla). Il fatto è che Marías è forte pure nei racconti. Lo provano quelli riuniti in un unico contesto nel 2012 e proposti al pubblico italiano in questo volume del 2020. Sono davvero interessanti. Alcuni spiccano semplicemente per bellezza; perché tutto – tempi, articolazione, lunghezza – funziona alla perfezione. Altri, invece, oltre ad essere anch’essi gradevoli, offrono qualche spunto in più per capire meglio dove sia l’originalità dello sguardo, o del metodo, di Marías. Partiamo dai racconti veramente belli, che tra l’altro non sono pochi. Sangue di lancia, ad esempio, è quello che mi ha colpito di più: si scopre lentamente, è una specie di giallo, risolto per ostinazione a molti anni di distanza da un barbaro delitto, e la storia procede come un’allucinazione, per rivelare alla fine un’incredibile, ma semplicissima, verità. Le dimissioni di Santestieban è un’efficace e curiosa storia di fantasmi, che tuttavia serve per rappresentare in modo perfetto una simbolica traiettoria personale e, forse, anche antropologica. La canzone di Lord Rendall è un’altra forma di visione, in cui il tema classico del reduce è sublimato in una sorta di sogno drammatico. Un epigramma di lealtà, invece, è un arguto, indiretto tributo a tutti coloro che sanno dare un vero valore alla letteratura. La rassegna potrebbe continuare: il libro contiene una trentina di pezzi, che – come anticipato – si lasciano anche apprezzare per la loro natura sintomatica. Dicono di Marías moltissime cose. Penso, sempre in via esemplificativa, a Mentre le donne dormono, a Binocolo rotto, a Quand’ero mortale, a Meno scrupoli, ma anche a Un senso di cameratismo. In tutti questi racconti si produce la sensazione che l’Autore segua la tecnica di quel tipo di immaginifica immedesimazione di cui sono capaci, per lo più, soltanto i bambini: ora facciamo che eravamo… La differenza, rispetto a quell’approccio, è che Marías non lo applica in una dimensione di gioco, ma lo riserva a situazioni drammatiche, tristi o malinconiche, sulle quali si concentra con assolute e partecipate immersioni di pensiero. Ciò gli consente – quasi parlasse da solo, quasi si sforzasse in una costante e potente autoanalisi – di scavare con naturalezza e libertà in tutte le possibilità disponibili, sul piano degli accadimenti come su quello dei sentimenti, ed anche in quelle apparentemente più assurde o fantasiose; e di guardare, attraverso questa lente, anche se stesso, come dall’esterno, traendone una specifica, personale consolazione. Tutto ciò suscita irresistibile comprensione ed empatia, e produce un piacevole effetto anestetico di consapevolezza e di accettazione universali. Ecco, a leggere Marías viene spontaneo pensare, simultaneamente, a Edward Hopper e Calderón de la Barca. Niente male.

Recensioni (di M. Camerini; di V. Martinetto; di D. Mattei)

Condividi:

Sorry, the comment form is closed at this time.

   
© 2024 fulviocortese.it Suffusion theme by Sayontan Sinha