Libro arrivato, libro mangiato. Lo pregustavo sin dal suggerimento di un collega, dalla classica “soffiata” che, per il lettore onnivoro, equivale all’istigazione all’acquisto. La recentissima scomparsa dell’Autore mi incuteva un senso di particolare rispetto. Forse per leggere Castellaneta – in questo libro ma anche in Ombre, subito scovato tra i libri di un mercatino e parimenti divorato – si tratta dell’atteggiamento giusto, al di là dei sentimenti che impone la contingenza. Qui ci si trova di fronte ad un grande scrittore, che non vuole ammiccare al lettore, che si sceglie protagonisti e tempi indigesti per andare in profondità, che per questo non scrive facile, riuscendo, però, a dare prova di una prosa elegante e di una grande capacità di analisi psicologica e sociale.
La storia – da cui è stato tratto anche un fortunato sceneggiato – è ambientata a Milano ed è raccontata in prima persona da un anonimo sgherro della Polizia Politica della Repubblica di Salò. Gli eventi non si sviluppano in modo particolare, se non in quello degli ultimi giorni del regime repubblichino, tra miserie materiali e morali, ambizioni e sospetti, prevaricazioni e soprusi, violenze e tradimenti. E tutto accade in una città sbriciolata e grigia, colpita dai bombardamenti e fiaccata dal senso incombente di una fine inevitabile. Ciò che interessa a Castellaneta, però, è tracciare il profilo caratteriale del suo narratore e del contesto di degradazione che ne esalta le discutibili qualità. Lo vediamo alle prese, infatti, con le retate e con i rastrellamenti; con le sue diverse amanti e con i suoi vari concorrenti; con interrogatori e torture; con gli ultimi riti di istituzioni ormai allo sbando. E in tutti questi momenti lo percepiamo piccolo e solo, con il suo egoismo, con il suo bisogno fisico di affermazione, con la sua incrollabile ed irrazionale fede in un credo fatto di brutalità e sopraffazione, da perseguire, al limite, fino all’autodistruzione; ma anche con uno stato crescente di apparente follia, se non di alienazione, che passa da momenti di auto-esaltazione a momenti di estrema perversione.
“Siamo stati travolti, eppure qualcosa mi dice che non è finita, che la nostra idea, la nostra natura continuerà a sopravvivere. Perché i vincitori, i nuovi padroni presto avranno bisogno di me. Finché l’uomo sarà fatto della stessa merda. Conto su di voi”. Il pensiero che il protagonista consegna al termine del romanzo – e che segue al prevedibile epilogo della sua personale vicenda di odiato persecutore – rivela pienamente l’obiettivo dello scavo compiuto da Castellaneta. Il tenore di questo feroce testamento, infatti, suona quasi come un’accusa, o anche come un’ammonizione a tutti coloro che ne possano cogliere ancora il senso acutamente paradossale. Notti e nebbie non ci parla solo dell’Italia e di una fase oscura della sua storia, ma mette in scena tutte le mostruosità dell’abiezione, della notte e della nebbia dello spirito, in un tema quasi psicanalitico, che viene così dipanato nella sua dimensione universale. Di uomini come quel poliziotto ce ne possono essere sempre, e ce ne saranno sempre tanti. È parte della nostra intima natura, che tuttavia, per manifestarsi, esige complicità determinanti e colpevoli abbandoni. Da che parte, dunque, e come, vogliamo stare?
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