Per un thriller nel quale c’è un commissario che sa anche cucinare si può dire, in generale, che gli ingredienti sono buoni e che lo è anche la mano, salvo che nell’impasto sono scivolate cose che propriamente non ci dovrebbero mai stare e di cui non ci si può non accorgere. Refusi a parte (ve n’è più di uno, purtroppo, e ciò anche a non voler considerare la vistosa mancanza che si riscontra nell’indice…), il passaggio della narrazione dalla classica fase delle difficoltà delle indagini all’immancabile fase della scoperta dell’identità del “cattivo” è fin troppo rapido. Infatti, pur rispondendo ad uno schema consolidato – quello del “tutto sembra finito, ma è tutto così semplice da non poter essere veramente finito” – ciò indebolisce la riflessione e le impressioni forti che l’Autore vorrebbe condividere, trascinandole nel finale (tutto sommato) banalizzante di una tipologia di intreccio un po’ consumata.
Nella Marca Trevigiana agisce un killer seriale, che rapisce giovani donne ed effettua su di esse esperimenti inconfessabili. Roberto Serra, lo “straniero”, un poliziotto immerso nei tormenti psico-fisici di un passato di dolore e di talento, viene presto condotto sulla pista giusta, grazie alla tenacia di Francesca, una giovanissima e trasgressiva ragazza, che assomiglia molto alla Lisbeth Salander dei romanzi di Stieg Larsson e che non si capacita della scomparsa della sua compagna. La caccia all’uomo diventa una lotta contro il tempo, specialmente quando il commissario – tra fantasmi privati, cedimenti nervosi e tentazioni irresistibili – assiste tragicamente alla morte di Francesca, riscopre se stesso tra le braccia di Susana e, dopo aver catturato la mente diabolica che ha seminato il terrore, si lancia alla ricerca del terribile complice che è ancora vivo e che rischia di mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’ultima vittima e di altri importanti protagonisti. Il lieto fine è assicurato e Serra riesce a rappacificarsi con la sua bella Alice, anche se sul campo rimangono molti feriti, e il gioioso e vitale paesaggio della Pedemontana veneta sembra ripiombare nell’indifferenza da cui, in definitiva, non pare essersi svegliato neanche di fronte alle tremende ricerche eugenetiche di un novello Dr. Mengele.
Se l’intenzione del romanzo è risvegliare molte coscienze dai rischi della xenofobia, allora è del tutto proporzionale il nesso con lo shock che ancora può dare l’esistenza di folli disegni sul perfezionamento della razza in un contesto in cui un facile perbenismo nemmeno se li immagina. Come si è anticipato, però, alcuni snodi della trama sono veloci, e questo rischia di rendere assai poco verosimile un racconto che, viceversa, meriterebbe senz’altro di essere lodato, anche per la scelta dei luoghi. Pasini, di suo, è un validissimo scrittore. Gli attori che la sua penna dirige sulla scena sono tutti all’altezza. Ciascuno, dal ruolo protagonista ai ruoli comprimari, è dotato di una convincente caratterizzazione, ed è tale anche quella del commissario Serra. In proposito, al termine del libro, l’Autore dichiara: “Roberto ha già ricominciato a sussurrarmi all’orecchio. E prima o poi lo ascolterò”. Speriamo che accada presto e che ci sia dato, così, di vedere nuovamente all’opera il poliziotto e la sua pericolosa Danza (i lettori possono capire…) nel quadro di una tela meglio ispirata.
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