Non è un richiamo ad un’immagine suggestiva, e non è neanche soltanto il titolo dell’omonimo e quasi “acido”, ma grazioso, pezzo che è raccolto nel volume (a pag. 87: da leggere subito, per togliersi immediatamente ogni curiosità). Balistica è davvero un proiettile. Perché la sua lettura ha la forza di attraversarci senza pietà e di spazzare via, finalmente, ogni dubbio: esiste ancora la buona poesia, e possiede una traiettoria precisa e comprensibile.
Proprio questo, d’altra parte, è il metro costante di Billy Collins, la sua caratteristica distintiva, la qualità che gli ha consentito di essere, dal 2001 al 2003, “Poeta laureato del Congresso degli Stati Uniti”, ma anche di riempire ripetutamente le sale in cui sono organizzati i suoi readings. Udite, udite: anche la poesia ha successo! Strano, forse, per i più; ma vero, fortunatamente, per tanti appassionati.
Il linguaggio delle poesie di Balistica è facile, le situazioni ritratte sono quelle della quotidianità che ci è più vicina e che per molti rischia di essere, purtroppo, solo banale. Eppure, al contempo, la lucidità e la profondità che ogni piccolo spicchio di vita sa darci emergono in modo inequivocabile (Agosto, Nessuna cosa sono e Ascolto del piccolo sono, da questo punto di vista, piccole ma vere lezioni di poetica e Famiglie della vasca da bagno, ad esempio, non è solo un divertissement; così, in modo esemplare, è anche per Ippopotami in vacanza o per Un vecchio mangia da solo in un ristorante cinese).
Non è un caso, poi, che, nonostante la tendenza programmatica e spietata a considerare in modo post-moderno e disincantato tutto ciò che, letteralmente, vive e vegeta attorno a noi, Collins riesce comunque a riallacciarsi ad una tradizione letteraria quasi primordiale e ai temi eterni che la perpetuano costantemente (Sulla morte del vicino di casa; Massima; Che cosa fa l’amore; La presa mortale). Talvolta, però, la sensazione è di una “disturbante mediocrità”, di una “falsa modestia” che può irritare, visto che l’autore sembra quasi confessare, con il tono delle sue parole, di considerarsi, in effetti, immensamente ed espressamente superiore (in Gennaio a Parigi questo profilo emerge con onestà e con eleganza strepitose).
Ma è difficile capire Collins fino in fondo. La leggerezza e la linearità che manifesta sono solo impressioni di superficie. Derivano, forse, dal fatto che Collins non vuole parlare agli altri poeti o ai critici (Le poesie d’altri), ma vuole rivolgersi direttamente alla gente, al suo affezionato lettore (Agosto a Parigi, che apre la silloge, è, in questo senso, una sorta di ufficiale dichiarazioni d’intenti), così come a chiunque sia capace di ascoltare la sua voce per ciò che essa vuole apertamente dire (Lo sforzo non è solo una parodia dell’insegnamento scolastico). Ma quella leggerezza e quella linearità soltanto apparenti derivano, forse, anche dal fatto che Collins offre ai suoi contemporanei una versione delicata di stoicismo, un autentico e specifico approccio filosofico, alla ricerca di una rassicurante e definitiva composizione tra le singole esistenze individuali e un senso ancora remoto (Il futuro).
La bella intervista che il traduttore e curatore italiano, Franco Nasi, pone all’inizio del libro ci presenta un poeta sereno e compiaciuto, non solo intelligente, ma soprattutto astuto, capace di indugiare, sentendosi perfettamente a proprio agio, in qualche (scusabile) posa. Dopo la lettura resta comunque dominante il suono di una parola che corre precisa, come il bisturi di un chirurgo che è venuto a salvarci dalla tanta, troppa, ottusità che ci circonda.
Aubade
Se vivessi nella casa di fronte a me
e se fossi seduto al buio
sul bordo del letto
alle cinque del mattino,
/
mi potrei chiedere che cosa ci fa
la luce accesa nel mio studio a quest’ora,
eppure eccomi alla mia scrivania
nel mio studio a chiedermi la stessa identica cosa.
/
So che non dovevo alzarmi così presto
per aprire con un coltellino
i pacchi di giornali all’edicola
come potrebbe pensare l’uomo della casa di fronte.
/
È ovvio che non sono un agricoltore o un lattaio.
E non sono l’uomo della casa di fronte
che siede al buio perché sonno
è sua madre e lui è uno dei suoi tanti orfani.
/
Forse sono sveglio solo per ascoltare
il tenue stridulo tintinnio,
del tungsteno nell’unica lampadina
che ha lo stesso suono del fruscio degli alberi.
/
O il mio compito è solo quello di stare seduto immobile
come il bicchiere d’acqua sul comodino
dell’uomo della casa di fronte,
immobile con la fotografia di mia moglie in cornice?
/
Ma ecco il primo uccello che consegna il suo canto,
ed ecco il motivo del mio essere in piedi:
per catturare la canzone di tre note di quell’uccello
e aspettare ora assieme a lui una risposta.