Enrico, Fabio e Francesco sono molto amici. Il primo è un insegnante, gli altri due sono architetti. Passano sempre insieme almeno una parte dell’estate e da un po’ di tempo hanno deciso di trascorrerla alle isole Solovki, nel Mar Bianco, come volontari dell’Unesco. Vogliono contribuire al restauro dell’antico monastero che si trova nell’isola grande e che in epoca sovietica era stato trasformato in un temutissimo gulag. Nel corso del loro ultimo viaggio, però, i tre fiorentini scompaiono, senza lasciare tracce. Entra in scena, allora, Alessandro Capace, un simpatico e squattrinato cronista freelance, che viene spedito a indagare dal direttore di uno dei periodici con cui collabora. Presto l’inchiesta lo porta fino in Russia, accompagnato dalla bella Julia, vecchia fiamma degli anni universitari. Ma le Solovki sono impermeabili a qualsiasi tentativo di decifrazione: che cosa sarà mai successo? Un banale incidente, come quello, forse, accaduto ad un giovane volontario tedesco, sparito poco tempo prima? Il gesto di un folle, un certo Valentin, tipico “scemo del villaggio”? O un complotto, guidato dal misterioso pope del monastero? O forse è tutta la piccola comunità locale ad essere autrice dei delitti? Il tempo passa e la vicenda sembra destinata a insabbiarsi, come le prospettive esistenziali di Capace, che è ormai pronto a seppellire il matrimonio con Gaia e a perdere, così, anche il piccolo Niccolò. C’è un tarlo, tuttavia, che continua a non dargli tregua: aver approfondito la vita e la personalità dei tre amici gli dà ancora da pensare. E poi due eventi – un ritrovamento fortuito e una lettera inattesa – paiono convincerlo a non demordere e a cercare, da solo, tutte le risposte, disarmanti e per nulla scontate.
A ben pensarci, questo giallo è tale solo nella forma. Era la più adatta, forse, per tentare il gioco dal quale il libro è nato. Ma si ha tutta l’impressione che, durante la scrittura, il romanzo si sia letteralmente trasformato tra le dita del suo Autore, tradendo gradualmente un oggetto e uno stile molto diversi da quelli delle prime pagine. Queste, infatti, sono le consuete, azzeccate e divertenti pagine di Claudio Giunta, osservatore schietto e implacabile dei costumi e dei tipi italiani dei nostri giorni. Poi, però, emerge una Stimmung decisamente malinconica. Si avverte, cioè, che il mistero della scomparsa dei tre giovani amici non è nascosto nelle pieghe degli indizi “polizieschi”. Se le Solovki conservano realmente verità e ricordi dolorosi, la soluzione sta in un disagio profondo, che in quel lontano e inospitale arcipelago finisce per trovare uno sbocco tristemente congeniale. Giunta, quindi, da un lato prova a depistarci su tracciati facilmente suggestivi, noti e apprezzati nella letteratura di genere, dall’altro lascia trasparire il desiderio di rappresentare il malessere di una generazione che è figlia di una società troppo stanca e prevedibile, e che fatica a presentarsi pronta e motivata di fronte alle scelte e alle responsabilità della vita. Mar Bianco, in questo modo, non è solamente un titolo: è immagine e sensazione di un vuoto uniforme e glaciale, nel quale, oggi, purtroppo, è fin troppo facile perdersi e abbandonarsi.
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